La Crocifissione del Chiostro del Paradiso di Amalfi
“Attraverso le immagini…” i capolavori dell’arte testimonianza di Fede.
– La Crocifissione del Chiostro del Paradiso di Amalfi: un’opera amalfitana da proporre all’ammirazione –
di Salvatore D’Amato e Giuseppina Severino
Il tema della Crocifissione occupa un posto centrale nella produzione dell’arte sacra.
Attraverso i secoli gli artisti ne hanno modificato gli schemi rappresentativi, realizzando opere universali cariche di bellezza e di significato, in cui differenti sensibilità e differenti letture dei testi evangelici si sono intrecciate in modo originale alla creatività degli artefici ed alla volontà comunicativa dei committenti.
Una pregevole testimonianza del tema della Crocifissione è visibile in un’opera ad affresco della misura di c. 180 x 170, conservata presso il Chiostro Paradiso di Amalfi, sul lato est, in una cappella laterale costruita nella prima metà del secolo XIV e dedicata a Santa Maria Maddalena, alla quale funge da ingresso una duplice arcata di struttura gotica, dimezzata da una colonna scanalata.
Nella parte alta campeggia la figura del Cristo sofferente (Christus patiens). Ha la testa reclinata sulla spalla, gli occhi chiusi e il ventre non più rigonfio alla maniera bizantina, ma incurvato in uno spasimo di dolore. Sulla testa reca l’aureola crociata. Più in alto appare il cartiglio svolazzante. A completare la plasticità vi sono il perizoma drappeggiato e leggero ed i piedi fermati in un sol chiodo e posti sul suppedaneo, elemento che fissa l’immagine in una rappresentazione stabile.
Alla figura del Cristo fanno da contrappunto i due ladroni. Il buon ladrone è riconoscibile dai tratti del viso dolci e sereni, dal nimbo e dai due angeli che lo circondano, l’uno rappresentato nell’atto di porgergli l’invito del Cristo a partecipare al suo Regno e l’altro che testimonia la sua pronta adesione volando verso i Cieli con tra le braccia l’anima bambinetta, ritornata pura come alla nascita. Il cattivo ha il volto deformato dal male, impreca e la sua anima è prontamente ghermita dall’orrida mano di un demone.
Nella parte centrale l’artista ha creato due diversi movimenti rappresentativi molto realistici.
La scena è movimentata: a sinistra uno dei soldati a cavallo cerca di trafiggere il costato di Gesù, un altro ha lo sguardo verso il basso ed un terzo è in sgargianti vesti vermiglie. Intorno osservano figure barbute, tutte con elmo. I personaggi si distinguono per la fattura trecentesca degli abiti e delle armature. L’iconografia è evangelica: in primo piano vi sono Longino, il centurione e Stefanato, con alle spalle guardie del Tempio e soldati. Longino, il cui nome deriverebbe proprio dalla lancia (dal gr. longhké), era il soldato romano che aprì il fianco al Cristo (Gv 19,34); il centurione è colui che, turbato, esclamò: “Veramente costui era il Figlio di Dio”e si convertì; Stefanato era la guardia o servo del Tempio, uscito a catturare Gesù insieme ad altre guardie e soldati mandati da Pilato, il quale, quando Gesù disse:“Sitio – Ho sete” (Gv 19,28), prese una spugna, la imbevve nell’aceto e gliela porse (Gv 19,29). Sulla destra si stagliano altre figure. Una reca tra le mani un lenzuolo, ha l’aureola e dialoga con un soldato a cavallo. Questi elementi lascerebbero ipotizzare una sua identificazione in san Giuseppe di Arimatea.
Nella parte bassa, a sinistra, sono ritratti, di profilo, numerosi armigeri con elmo e scudo, mentre a destra vi è un numero altrettanto nutrito di personaggi dal volto autorevole, incappucciati ed abbigliati in una foggia contemporanea al periodo di realizzazione dell’affresco. Forse tra loro vi sono i probabili committenti dell’opera. L’elemento che li accomuna è un senso di stupore misto a curiosità ed adorazione secondo la citazione del Vangelo di S. Luca “molti di coloro che erano venuti a vedere lo spettacolo” “se ne tornavano indietro battendosi il petto” (Lc. 23,48-49).
La fattura delle vesti lascia intuire la possibilità che l’artista abbia voluto rappresentare elementi di spicco della società amalfitana guerriera e nobiliare del tempo, alla quale apparteneva la famiglia che fondò la cappella. La folla dei personaggi fa da contorno a due gruppi che si stagliano in primo piano: quello della Vergine e quello della Maddalena. La Madre di Cristo è rappresentata priva di sensi, col volto inanimato, il braccio e il corpo abbandonati tra le braccia di Marta e Maria, dai volti contratti. La Maddalena, facilmente riconoscibile dalla lunga e bionda chioma fluente e dalle vesti purpuree, che ricorda i canoni della Crocifissione giottesca della Cappella degli Scrovegni, si stringe al palo del supplizio e fa da contraltare allo sgomento del giovane Giovanni.
Dietro di loro, in vesti diverse da tutti gli altri, con una tunica a bande verticali bianca e rossa, afferra la croce un personaggio di difficile riconoscimento: potrebbe essere, forse, l’anonimo Autore?
Il fondo è reso con un uniforme blu oltremare, che rende l’evangelico oscurarsi del Cielo.
La Crocifissione del Chiostro Paradiso è verosimilmente databile alla seconda tarda metà del sec. XIV e fu restaurata a cura della Regia Soprintendenza dei monumenti nel 1941.
Diverse sono le tesi circa l’Autore. Il Bologna ha rifiutato le precedenti attribuzioni ad una tarda scuola locale senese o di matrice del Cavallini ed ha collegato l’opera a Roberto d’Oderisio, considerandola un tramite tra il polittico Coppola e la Crocifissione del Museo Diocesano di Salerno. Questa attribuzione è stata fatta propria dal Leone de Castris, che ha giustificato le durezze presenti nell’opera come un’imperizia nel dipingere a fresco del pittore nella sua gioventù. Per la Mancini l’affresco sarebbe opera di un ignoto Maestro fortemente influenzato da Roberto d’Oderisio.
La cappella in cui è l’affresco fu fatta erigere — secondo lo storico Robert Brentano — dalla famiglia Quatrario, tra le più illustri e potenti della città di Napoli, strettamente fedele al re Roberto d’Angiò e, dopo di lui, alla sua erede Giovanna I. Napoli, divenuta capitale del Regno angioino nel 1282, si era aperta alla penetrazione dei nuovi linguaggi artistici provenienti dall’Italia centrale e dal cantiere di Assisi. La Costa d’Amalfi partecipa, a distanza di qualche decennio, al rinnovamento della pittura meridionale grazie alla forte religiosità dei laici amalfitani e allo spessore culturale e teologico della Chiesa locale, che, in quegli stessi decenni, ad opera dell’arcivescovo Filippo Augustariccio, vedeva terminare i lavori del Chiostro del Paradiso, decorare alcuni locali situati a ridosso dell’ingresso alla chiesa del Crocifisso e celebrare con un profondo fervore liturgico-devozionale il ricordo dell’evento della Traslazione del corpo dell’Apostolo Andrea da Costantinopoli. La Crocifissione amalfitana è, quindi, il segnale ben netto dell’esistenza di una feconda sintonia tra la committenza amalfitana e quella della capitale partenopea. Soprattutto è una significativa e preziosa testimonianza della fioritura culturale ed artistica che toccò la Costa di Amalfi sotto gli Angioini.
La fulgida terra di Amalfi e la sua Chiesa seppero consegnare ai posteri questo gioiello.
Ci auguriamo che le nuove generazioni del Terzo Millennio non lo ignorino e difendano gli straordinari messaggi di bellezza e sensibilità presenti sul nostro territorio in tanti capolavori dell’arte.
Per approfondire:
P. Pirri, Il duomo di Amalfi ed il Chiostro del Paradiso, Roma 1941, p.50.
A. Schiavo, Monumenti della costa di Amalfi, Milano 1941, p.17, n. 1.
F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli (1266-1414), Roma 1969, p. 263 e 284, n. 79.
Arte e storia della costiera amalfitana, Guida della mostra fotografica. Amalfi, 23 ottobre – 7 novembre 1982, Amalfi 1983.
T. Mancini, Frammento di affresco nel chiostro del Paradiso di Amalfi, in ‹‹ Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana ››, IV (1984), n. 7, pp. 157-168.
P. L. Leone de Castris, Pittura del Duecento e del Trecento a Napoli e nel Meridione, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Venezia 1986, p. 497.
Id., Arte di corte nella Napoli angioina, Firenze 1986, p. 376 e 383, n. 22.
F. Gandolfo, La cattedrale di Amalfi, in Amalfi, Milano 1992, p. 70.
R. Brentano, La chiesa locale di Amalfi nel contesto delle istituzioni ecclesiastiche italiane tra XII e XIV secolo, in La Chiesa di Amalfi nel medioevo. Convegno internazionale di studi per il millenario dell’Archidiocesi di Amalfi, Amalfi 1996, p. 227.
A. Braca, Le culture artistiche del Medioevo in Costa d’Amalfi, Amalfi 2003, p. 273.
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