Per un discernimento cristiano sull’Islām
approfondimenti dell’Ufficio CEI per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso
Per la fede cristiana, data la volontà salvifica universale del Padre, l’unico mediatore della salvezza è Cristo, che opera nei confronti di tutta l’umanità attraverso Spirito Santo, grazie alla funzione sacramentale universale della Chiesa. D’altra parte, il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione Nostra aetate – ma anche con la costituzione dogmatica Lumen gentium –, in nome della comune radice abramitica, attribuisce all’islām un posto particolare nel panorama delle religioni.
L’islām nella storia della salvezza
I pionieri del dialogo islamo-cristiano – dal francese Louis Massignon (1883-1962) fino al francescano italiano Giulio Basetti Sani (1912-2001) – hanno ritenuto di poter collocare anche questa religione nel piano universale della salvezza.
Si tratta – certamente nei casi citati – di riflessioni maturate in una lunga consuetudine di studio, di vita, di frequentazione e di dialogo, che ha sempre avuto ben presenti i problemi e le contraddizioni del mondo islamico e dei suoi rapporti con la cristianità.
Secondo Basetti Sani, se Gesù inizia un processo di integrazione dell’umanità nella famiglia di Dio cominciando ad unire i figli di Israele con i pagani, è Muhammad – che viene dopo sette secoli – a richiamare con il suo messaggio alla conoscenza del vero Dio di Abramo tutti gli esclusi, dispersi lungo il corso dei secoli senza più alcun vincolo spirituale. Questo processo di riunione doveva coinvolgere soprattutto i popoli ancora lontani dal cristianesimo. Qui Basetti Sani si riferisce al mondo asiatico, cioè a popoli che mai avevano ricevuto la parola della Bibbia. In questo senso, la missione islamica verso i cristiani sarebbe una distorsione del mandato originario.
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 67, si legge: «La fede cristiana non può accettare “rivelazioni” che pretendono di superare o correggere la Rivelazione di cui Cristo è il compimento. È il caso di alcune Religioni non cristiane ed anche di alcune recenti sette che si fondano su tali “rivelazioni”».
Anche se in modo implicito, il riferimento sembra indirizzarsi anche all’islām. Ma che pensare dunque dell’islām, in questo prospettiva?
Ancora citiamo il testo dei vescovi siciliani: L’islām, con la sua struttura religiosa in apparenza semplificata, pone l’uomo non in diretto contatto con Dio, ma con la sua legge la quale, di fatto, sostituisce Dio nel rapporto di quotidianità con l’uomo. Prospetta una religione senza intermediazioni e senza alcun mediatore, riducendo, perciò, irrimediabilmente il ruolo salvifico di Gesù Cristo, non accettandone l’immagine e la realtà di «crocifisso» e, ancor meno, di «figlio di Dio».
Queste affermazioni essenziali del credo islamico riguardo al cristianesimo non possono essere ignorate e sottaciute, ma devono essere rese esplicite, se veramente si vuole perseguire un fruttuoso discernimento sull’islām. D’altronde, rimane fermo e inequivocabile che la chiarezza dottrinale, dono prezioso dello Spirito alla Chiesa, non si debba mai tradurre in discriminazioni religiose, economiche, sociali e politiche, né tanto meno spingerà a congelare le vie del dialogo rifiutando, odiando e combattendo alcuno.
Quale discernimento cristiano sull’islām?
L’islām, religione (ma non rivelazione) post-giudaica e post-cristiana, presenta numerosi aspetti, che possono apparire convergenti rispetto al giudaismo e al cristianesimo; tuttavia in un confronto più approfondito ne appaiono evidenti le specificità, fino all’incompatibilità con la fede cristiana.
Nondimeno è possibile riconoscere uno spazio e un ruolo all’islām nella storia della salvezza, se lo si considera – come hanno fatto esponenti del pensiero giudaico – in rapporto alla fecondità della benedizione divina indirizzata a tutti gli uomini, e scesa segnatamente su Noè e sui suoi figli dopo il diluvio, capace di suscitare ancora nuove energie e esperienze spirituali, anche se frammiste agli errori e ai fraintendimenti che si riscontrano nelle cose umane.
Questa ipotesi presenta alcuni punti, sui quali le attuali formulazioni del magistero della Chiesa cattolica possono manifestare significative convergenze: l’unità della famiglia umana, sottolineata anche dalla Nostra aetate, assieme alla comune origine e al comune destino di tutti gli uomini, che è Dio; l’esistenza e l’irrevocabilità del patto divino con Noè; la funzione della rivelazione universale del nohachismo nella portata più ampia delle leggi di Noè; il fatto che al suo interno possano coesistere elementi indubbiamente positivi accanto ad altri meno felici.
Conclusioni. Perché dialogare?
Fino all’arrivo di immigrati di religione islamica in numero rilevante, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, mancava in Italia un’esperienza di convivenza con una consistente minoranza e di rapporti interreligiosi. Non è possibile improvvisare tutto questo o costruirlo solo tramite iniziative settoriali di tipo caritativo-sociale.
L’attività della Chiesa cattolica ha garantito, in tutti questi anni, anche in essenza di altre iniziative, un supporto all’integrazione dei fedeli musulmani. Ma il radicarsi e lo strutturarsi della presenza islamica nel nostro paese, il sorgere di nuove generazioni di giovani musulmani, che sono italiani a tutti gli effetti, la crescita del numero dei matrimoni misti, insieme ad altri aspetti che si potrebbero citare, tutto questo spinge a porsi il problema della coabitazione con chi professa una diversa religione, e in particolare con i musulmani, che sono la comunità maggiore dei non cristiani.
Il Vaticano II, più volte ricordato, e il magistero più recente pongono al centro del rapporto con gli altri credenti la categoria del dialogo. Esso appare oggi, nelle diverse dimensioni e forme più sopra menzionate, una necessità impellente e una risorsa per una costruzione del bene comune che coinvolga anche questa significativa minoranza.
Questa prospettiva, per essere sviluppata in modo adeguato, implica un rapporto saldo con la propria fede e con la propria identità religiosa, a partire dalle quali si entra in relazione e appunto in dialogo con gli altri.
Si è qui parlato più volte di discernimento cristiano sull’islām. Quel discernimento non sostituisce né tanto meno cancella il dialogo interreligioso con i musulmani, anzi offre al cristiano che vi si impegna un quadro interpretativo dell’islām, necessario per porsi nell’atteggiamento più corretto verso l’interlocutore, senza cioè soverchie aspettative (che facilmente conducono alla delusione) ma senza chiusure. Perché, se dialogo non significa sacrificare o mettere da parte la verità, a livello culturale ed antropologico, nonché spirituale, l’incontro delle fedi può condurre a una seria verifica del proprio vissuto e a un confronto sul piano dei valori di grande importanza per il futuro dei popoli, e in particolare del nostro paese.
In questa prospettiva, occorre essere consapevoli che le conclusioni cui il discernimento sembra giungere possono non essere condivise o accettate dal mondo islamico. Ma questo è nella natura stessa del dialogo e fa di esso un’avventura straordinaria, in cui – davvero – ci si incontra tra diversi. Perché gli interlocutori nel dialogo interreligioso sono realmente diversi: esso infatti non è una “bella esperienza” in cui ci si scopre alla fin fine tutti uguali, o in cui tutte le verità si equivalgono.
Così, dal punto di vista cristiano, se è vero che alcune verità dell’islām sono compatibili con la fede cristiana, queste potrebbero essere interpretate come conferme extra-canoniche della rivelazione cristiana. In questo spazio potrebbe collocarsi la posizione riconducibile a Massignon e ai suoi epigoni, mentre verifichiamo, alla luce delle maggiori conoscenze acquisite, l’assunto del Concilio, che vi sia cioè in ogni esperienza umana, e particolarmente in quella religiosa, un raggio di luce dello Spirito di Cristo risorto.
Il dialogo diviene allora il mezzo tramite il quale le religioni non soltanto possono imparare a vivere insieme, ma a vivere insieme in modo spiritualmente efficace. Infatti, malgrado la pienezza oggettiva della rivelazione di Dio in Gesù Cristo, anche i modi in cui i cristiani comprendono la loro religione e la vivono possono avere bisogno di purificazione. Si tratta quindi di un dialogo di salvezza con i credenti delle altre religioni che conduce a un impegno più profondo e ad una più autentica conversione a Dio.
Don Gino Battaglia
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