La dinastia del duca Sergio I (958-1073) – V parte
Pochi mesi dopo l’ascesa di Giovanni II la sede arcivescovile di Amalfi restò vacante, essendo morto, dopo 42 anni di episcopato, Leone, primo vescovo amalfitano ad aver ricevuto il pallio: fu sepolto nella cappella di S. Vito della cattedrale. Come successore fu scelto il monaco Leone, nipote di un conte amalfitano come Leone I, che fu consacrato da papa Giovanni XIX il 2 luglio 1029 in Lateranensi palatio.
Il nuovo vescovo aveva vissuto prima della sua elezione nell’abbazia di Montecassino sotto il nome di Laurentius e si era fatto colà fama di buon letterato. Che un membro dell’aristocrazia comitale fosse monaco a Montecassino non desta meraviglia, tenuto conto dei rapporti di parentela dei duchi di Amalfi con i principi di Capua, nel cui ambito giurisdizionale l’abbazia di trovava; e non è da escludere che Leone sia diventato monaco a Montecassino allorchè era abate un fratello della duchessa Maria.
Il governo del duca Giovanni II era già finito nel marzo o aprile del 1034, quando la sorella di Pandolfo e suo figlio Mansone II tornarono al potere. Giovanni e suo figlio Sergio poterono trovare scampo a Napoli, dove nel frattempo era ricomparso un duca locale, peraltro avversario irriducibile del Capuano. Ad Amalfi si iniziò una nuova era nella datazione dei documenti, aggiungendo agli anni di ducato di Mansone e di Maria l’espressione post eorum recuperationem. Maria nei documenti si fece chiamare sempre patricissa sulla base della dignità patrizia concessa a suo marito 24 anni prima, mentre suo figlio Mansone, al contrario di Giovanni II, non giunse mai ad avere un titolo bizantino.
Il ritorno al potere di Maria era stato patrocinato, come nel 1028, da suo fratello Pandolfo, il quale dopo la perdita di Napoli si era annesso il ducato di Gaeta, cacciando la dinastia dei signori locali. In queste condizioni si comprende come nei successivi quattro anni l’autonomia politica di Amalfi si riducesse ad un fatto puramente formale, non scomparendo del tutto solo per il fatto che Pandolfo non ritenne conveniente esercitare personalmente il potere nella città.
Maria e la sua famiglia inoltre riuscivano utili al Capuano anche nella sua politica nei confronti di Napoli, il cui duca Sergio IV, per difendersi dalle mire di Pandolfo, aveva insediato ad Aversa un contingente di mercenari normanni e dato in moglie al loro capo Rainulfo una delle sue sorelle.
La fama di temibili guerrieri che accompagnava i Normanni fece sì che Pandolfo cercasse con ogni mezzo di sottrarre al suo rivale il sostegno della colonia di Aversa, per cui, quando morì la moglie del capo normanno, gli offrì la mano di una sua nipote, figlia di sua sorella Maria di Amalfi; e Rainulfo, ritenendo il secondo matrimonio non meno vantaggioso del primo, accettò la proposta di imparentarsi con la famiglia dei duchi amalfitani, passando in tal modo nel campo di Pandolfo.
La potenza che veniva a concentrarsi così nelle mani del principe di Capua non poteva però non suscitare l’ostilità di quelli che si sentivano da lui minacciati, come il principe di Salerno Guaimario V, nipote di Pandolfo, con il quale arrivò alla rottura, o come i monaci di Montecassino, che chiamarono in loro aiuto l’imperatore Corrado II.
Questi, sceso in Italia nel 1038 alla testa di un esercito, occupò Capua, ma ciò non valse ad indurre Pandolfo a fare atto di sottomissione. Della situazione approfittò allora Guaimario, che senza indugi si schierò dalla parte dell’imperatore, ottenendo così l’investitura del principato di Capua.
Questi eventi ebbero naturalmente immediate ripercussioni ad Amalfi, dove la ducissa Maria e suo figlio Mansone II, venuti a trovarsi privi di appoggio, non poterono evitare il ritorno da Napoli di Giovanni II e di suo figlio Sergio, Mansone fu accecato e confinato nell’isola delle Sirene, ma Maria conservò, almeno formalmente, il potere, come si desume dalla datazione di due documenti della fine del 1038 e degli inizi del 1039.
Accanto a lei compaiono nella datazione Giovanni e Sergio, i cui anni di governo continuano la precedente numerazione come se non ci fosse mai stata interruzione.
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