La rivolta di Amalfi contro i Normanni

di - del 15 Ottobre 2014 © diritti riservati

Il gonfalone della città di Amalfi

Come osserva il cronista dei Normanni, Goffredo Malaterra, il duca di Puglia confidava troppo sulla fedeltà della popolazione dei suoi domini: lasciò così nelle mani degli Amalfitani i castra fatti costruire da suo padre nel ducato di Amalfi, con il risultato che a poco a poco la città si sottrasse al suo controllo, come mostra anche il fatto che non si contarono più gli anni in base alla sua assunzione del ducato amalfitano.
Nel 1096 si arrivò infine alla rivolta aperta: ci si rifiutò di versare il tributo e di prestare i soliti servizi; non si permise al duca di entrare in città ed i suoi partigiani furono cacciati. Nuovo duca fu proclamato Marino, del quale sappiamo soltanto che era imparentato con una stirpe comitale di Capua; i suoi anni di governo vennero contati dal maggio o dal giugno del 1096. Ruggero passò subito all’offensiva, assediando la città e chiedendo appoggio militare al fratello Boemondo ed allo zio Ruggero, il quale pretese però, in caso di conquista, il possesso di metà della città. Ruggero Borsa accettò ed il ducato di Amalfi fu circondato per terra e per mare.

Con forti contigenti saraceni Ruggero I sopraffece Nocera il 31 maggio, in modo da poter penetrare, passando per il passo di Chiunzi, nell’altopiano di Tramonti, mentre Boemondo rimaneva presso Scafati sul Sarno, da dove poteva piombare sul territorium Stavianum: lo stesso attacco combinato (a sud dal mare e a nord da terra) porterà al successo, 35 anni più tardi, gli ammiragli di Ruggero II. E Amalfi sarebbe stata certamente conquistata nel 1096 se Boemondo non avesse interrotto l’assedio per porsi alla testa dell’esercito crociato in partenza per la Puglia.

Secondo il racconto degli anonimi Gesta Francorum la maggior parte dell’esercito impegnato nell’assedio si unì a lui, per cui al Gran Conte non restò altro da fare che ritornarsene in Sicilia, mentre Ruggero Borsa si ritirava in Puglia. Gli Amalfitani tirarono un sospiro di sollievo.
Il nuovo duca di Amalfi si fece chiamare nell’intitolazione dei documenti, come i suoi predecessori della dinastia di Sergio I, gratia Dei dux Amalfitanorum. Il governo di Costantinopoli gli concesse subito il titolo di sebastos, ponendolo così un grado al di sotto del doge di Venezia e del duca di Napoli, i quali erano protosebastoi. Anche altri Amalfitani furono insigniti di titoli bizantini: infatti i rapporti di Amalfi con lo Stato bizantino non si erano affatto interrotti durante la dominazione normanna, anche se i mercanti erano stati a poco a poco soppiantati dai Veneziani.
Il cambiamento di governo del 1096 non significa da questo punto di vista l’inizio di una nuova epoca, ma, al massimo, solo l’intensificazione di rapporti già esistenti. Del resto anche dopo la caduta di Marino continueranno i traffici commerciali sia con Bisanzio sia con gli Arabi. Il duca Marino continuò la politica di Ruggero Borsa nei confronti di Ravello, concedendo al suo vescovo le entrate derivanti dal mercato e dalle calcare del luogo (plateaticum et calcaraticum).

Ad un suo parente invece, nipote anch’egli di un conte di Capua, concesse tra l’altro un’area per aprire punti di vendita al mercato del paese, contribuendo così all’ascesa di una famiglia che ben presto sarà annoverata tra i casati più eminenti della nobiltà di Amalfi. Pro utilitatem (sic) uius civitatis Amalfi vendette infine ai monaci di S. Cirico di Atrani una parte della spiaggia di Maiori di proprietà dello Stato (publicus).
Marino è testimone per l’ultima volta nel gennaio del 1100 come duca di Amalfi; nella seconda metà dell’anno Ruggero Borsa riuscì a riconquistare la città. I notai amalfitani si rifecero di nuovo per la datazione dei documenti agli anni di governo di Ruggero, ed era questa l’ultima volta che ad a Amalfi si iniziava una epoca post recuparationem.

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