A tavola con il duca
Nell’anno di grazia 976 la più antica città marinara del Tirreno svolge l’importante ruolo di intermediaria fra l’Occidente romano -germanico e l’Oriente arabo-bizantino. Popolo di esperti navigatori ed intraprendenti commercianti, gli Amalfitani sono riusciti a fare della loro città un centro commerciale tra i più importanti del Mediterraneo, una potenza mercantile che, sviluppandosi con insolita ampiezza e senza raffronto, sta per raggiungere una grande floridezza economica, un benessere tale da suscitare prima la meraviglia, poi l’invidia, infine l’ostilità delle potenze confinanti.
Il governo della città è nelle mani di Mansone I il magnificentissimus dux che ha deciso di associarsi il figlio Giovanni che, prima di salire al potere, prende in moglie Regale, figlia del nobile salernitano Arechiso. Il matrimonio, celebrato dal vescovo Mastalo, si svolge alla presenza del fior fiore della nobiltà amalfitana e salernitana, delle massime magistrature della Repubblica e di invitati stranieri.
La cerimonia nuziale viene ospitata nella Cappella palatina di Amalfi, mentre il pranzo è organizzato nel salone del Palazzo ducale. Al banchetto nuziale partecipano, oltre agli sposi, i familiari, l’arcivescovo, l’abate rettore della cappella palatina, ambasciatori e dignitari di corte, il conte di palazzo, il console del mare, i cavalieri della corte ducale, dame e damigelle, paggi e coppieri. L’apparecchiatura della mensa è realizzata con posateria in argento, vasellame, tovagliato, bacinelle per il lavaggio delle mani, tavolo di servizio per trinciare carni, trionfi di frutta.
Il banchetto segue un rigido protocollo che regola tanto l’assegnazione dei posti quanto la disposizione delle tavole, quasi sempre messe a ferro di cavallo. I convitati occupano il lato esterno per godere gli spettacoli che vengono loro offerti al centro della sala. La tavola centrale è detta “tavola alta”, perché posta su un rialzo; è quasi sempre riservata al principe e ai suoi ospiti d’onore. Secondo i canoni più classici della convivialità medievale, il pranzo è composto di diverse portate. Una lista delle vivande può essere la seguente: crostoni di farina di miglio con filetti di sgombro essiccati all’olio, pecorino primo sale con fave novelle, sedani e porri oleati e pepati, verdure alla colatura di alici (l’antico garum), minestra di farro d’orzo e fagioli all’occhio.
La portata più importante veniva servita in piatti posti al centro delle tavole, da afferrare con le mani e comprendeva un “capretto grasso lautamente farcito di aglio, cipolla e irrorato di salsa di pesce”. Un altro piatto di portata conteneva una torta di cacio, vivanda tipica dei pasti medievali italiani, farcita con ricotta di pecora e profumata con miele caldo alle rose. Lavate la mani abbondantemente imbrattate, si passava all’ultimo servizio, che prevedeva marzapane confezionato in piccoli biscotti a base di mandorle o pinoli, mostaccioli e lagane dolci al miele. Brocche di vino ed acqua erano disponibili alla portata di ogni commensale, come anche coppe in argento o in coccio, nelle quali si beveva vino annacquato e/o “medicato” (speziato, con cannella, zenzero e miele) secondo i dettami del galateo medievale.
Anche in periodo rinascimentale la nobiltà amalfitana si concedeva ai fasti della tavola. Vale la pena ricordare il pranzo offerto in occasione delle nozze, celebrate ad Amalfi il 14 settembre 1496, tra Eleonora Piccolomini d’Aragona, figlia del duca Antonio e Bernardino Sanseverino principe di Bisignano. Il fratello della sposa, il duca Alfonso, si prodiga infatti per la perfetta riuscita del banchetto, arricchendo le sale del palazzo ducale con broccati, arazzi e drappi di finissima seta. Le portate sono consone all’ambiente raffinato: capponi ricoperti di biancomangiare con grani di melograno, polli irrorati di vino corso, pesci di tutti i tipi e dimensioni, torte di erbe. Non mancano i dolci: confetti con rose di zucchero, pignolate, biscotti di mandorle.
Non sono da meno i Rufolo a Ravello che, nel grande salone in stile moresco, con fasci di colonnine che sostenevano le volte, offrono alla comitiva di nobili napoletani sbarcati ad Amalfi nell’inverno del 1488 e diretti al Castello di Tortona per partecipare ai festeggiamenti in onore del matrimonio fra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, uno sfarzoso banchetto descritto da Orazio Bagnasco: Sulla lunga tavola del centro della sala erano stati disposti in bella simmetria i piatti del primo dei tre servizi: potaggi (solitamente piatto di carne e/o pesce in umido) di fegatelli e creste di gallo, potaggi di cavolo e costine di maiale, potaggio di montone e scorzonera, potaggio di melograno ed erbacce, quindi frittate di funghi, di mandorle, di mele, torte salate, pasticci di calamari in crosta, pasticci di pollo e di uovo con le erbe della montagna spolverate di cinnamomo, pasticci di cacio piccante e di cacio dolce, torta di rosso d’uovo; e poi strangolapreti, potaggi di fior di latte e tomaselle (sorta di polpette o salsicce a base di fegato di maiale).
Non mancavano i piatti di biancomangiare di pollo, alle mandorle o al sapore di rose. Nel centro della tavola spiccavano le ampolle di rosoli di tutti i colori e sapori. Il vino correva ed eccitava al riso ed alla confidenza, mentre sulla tavola giungevano, per il secondo servizio, confetti di vari sapori, spongate (dolci simili al panforte a base di frutta secca, canditi, miele e spezie) e poi piatti stracolmi di frittelle di polpa di pollo e magnifiche torte reali di polpa di fagiano, la famosa torta reale di polpa di piccione, dai napoletani detta “pizza di bocca di dama”, e le crostate di animelle di vitella, i pasticci di prosciutto in limonia, le crespelle. Erano cibi ricchissimi cosparsi di zenzero e chiodi di garofano. Per il terzo servizio vennero presentate: potaggetto di sarde fresche, potaggio di code di gamberi, spigole.
(La rubrica di oggi è dedicata alla memoria di Ezio Falcone, già Presidente del Centro di Cultura e Storia Amalfitana e massimo esperto di storia dell’alimentazione della Costiera Amalfitana)
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