Amalfi: Il passato vive nel presente. Il corteo storico

di - del 7 Giugno 2015 © diritti riservati

CORTEO STORICO di Gennaro Esposito

” … la più prospera città di Longobardia, la più nobile, la più illustre per le sue condizioni, la più agiata ed opulenta. Il territorio di Amalfi confina con quello di Napoli; la quale è bella città, ma meno importante di Amalfi. “ Ibn Hawqal (977)         

Il nome “Amalfi”, che ha avuto le sue origini come fiorente centro commerciale, ha acquistato nel XX secolo rinomanza anche nel mondo militare. Due parole completamente opposte sono quella del commercio e della guerra, che collocate vicine costituiscono un ossimoro analogico, che ci lascia molto riflettere. Come ricorda Papa Bergoglio “In ogni violenza ed in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino”, smettendo così di essere persone buone, che amano il loro prossimo come se stessi. “Essere persone umane significa essere custodi gli uni degli altri” ribadisce il Pontefice, che ci invita ad impegnarci affinché non rimbombi nelle menti dei nostri figli il rumore delle armi.

I secoli vanno via, gli anni passano, ma le tematiche ed i problemi dell’umanità persistono e non variano. Per evitare le guerre, dobbiamo combatterne una più difficile: dobbiamo lottare contro il male ed imparare a dialogare, costruendo ponti di dialogo e non muri di risentimento.

Amalfi, sin dagli albori, ha individuato una delle chiavi per apprendere da tutti al fine di migliorarsi: si tratta del commercio, che ci ha unito alle più remote contrade e che ha costituito il mezzo di trasporto tramite il quale gli amalfitani comunicavano e si paragonavano con popoli di altre nazioni. Gli uni servono da sprono agli altri, infatti ciascuno si sforza di superare l’altro nell’indole, nell’umanità e nella civiltà. È quasi regola generale, come dice Montesquieu, che ove regna il commercio, regnavi pure i bei costumi e le dolci maniere. L’Italia è il paese dove il commercio è nato, e quando il commercio d’Europa fu tutto in mano agli Italiani, la penisola vide rifiorire nel suo seno le ricchezze, le arti e la cultura, magistra vitae. L’ordine e le abilità nautiche resero gli amalfitani i migliori marinai del Tirreno, così come lo furono i Veneziani per l’Adriatico.

Navigando per le acque del Mediterraneo, gli Amalfitani ricevettero molte concessioni; essi ottennero persino un intero quartiere a Costantinopoli, dove potervi abitare ed ivi vi era la Chiesa di S. Andrea ed un monastero con la Chiesa annessa dedicata a S. Maria della Latina. La tanta celebrità acquistata sull’impero del mare, la lunga esperienza ed i pericoli sofferti obbligarono gli Amalfitani a pubblicare leggi proprie, che confluirono nelle “Tabula de Amalpha”, celebre codice marittimo prodotto tra l’XI ed il XIV secolo, che giunsero persino ad oscurare “Le leggi de’ Rodiano”.

Nella Tabula vengono delineati i diritti e i doveri dell’equipaggio di una imbarcazione, dal capitano all’ultimo dei marinai. L’antico codice marittimo inoltre sancisce il diritto all’assistenza dei marinai feriti o ammalati e descrive il comportamento da tenere in situazioni di emergenza, come l’assalto dei pirati.
Il codice originale, purtroppo, è andato perso, ma delle numerose copie scritte su carta a mano eseguite per le varie famiglie aristocratiche del tempo, una, appartenuta al doge veneziano Marco Foscarini, finì in Austria, dove vi rimase fino al 1929, quando venne riscattata. Si tratta di un testo composto da 66 capitoli: alcuni scritti in latino risalivano al lontano X secolo, mentre gli altri, scritti in volgare, risalivano al XIII secolo. Altre regole vigevano a regolare la vita dei marinai amalfitani, che comportava durissimi sacrifici, che non trovavano giustificazione soltanto nei lauti guadagni, bensì anche nella passione per un’attività libera ed avventurosa. Si trattava delle Consuetudines Civitatis Amalfie, raccolta di norme trascritte nel 1274, che regolavano i rapporti giuridici all’interno del Ducato.

CORTEO STORICO Così come il pontefice costituisce un ponte tra l’uomo e Dio, incarnando il simbolo dell’uomo, che si fa tramite tra Terra e cielo, così Amalfi ha rappresentato per secoli la principale via di comunicazione tra le coste tirrene, quelle africane e quelle bagnate dal Mediterraneo Orientale. Ricordare è l’importante compito affidato a noi Amalfitani. Nostro dovere è trasmettere alle generazioni future la grande storia e l’immensa gloria che per secoli ha avvolto la Nostra Antica Repubblica ed è, invece, diritto dei futuri cittadini ereditare ciò che noi abbiamo ricevuto dai nostri padri. Conservare il mondo antico in quello moderno, sembra un sogno irrealizzabile, ma sognare per noi giovani è un obbligo ed un mezzo, che ci porta ad avvicinarci alla realtà.

Nel palio delle Antiche Repubbliche Marinare, manifestazione sportiva di rievocazione storica istituita nel 1955, due sono le componenti caratterizzanti che godono di pari dignità ed interesse: si tratta della competizione sportiva vera e propria che si traduce nella sfida remiera tra i quattro equipaggi rappresentanti le quattro città italiane e del corteo storico attraverso il quale ogni Repubblica Marinara rivive in pieno il suo glorioso passato. Protagonisti del corteo storico della prima Repubblica Marinara sono senza dubbio le stoffe ed i costumi, fedelmente ricostruiti dall’insigne scenografo Roberto Scielzo, definito da Massimo Capodanno come un artista eclettico e poliedrico di grande valore. Roberto Scielzo, ideatore dei personaggi e dei costumi che compongono il Corteo di Amalfi in occasione dell’annuale manifestazione della Regata, intendeva rievocare la società amalfitana nell’XI secolo, quando i commerci con il mondo arabo e l’impero bizantino raggiunsero l’apogeo. Elemento caratterizzante la maggior parte dei costumi della Repubblica Marinara di Amalfi è la croce ottagona, simbolo di Amalfi almeno sin dall’XI secolo, come confermano alcuni tarì amalfitani del 1080 sui quali campeggia chiaramente tale croce. La croce presenta otto punte che potrebbero simboleggiare le beatitudini teologali di S. Matteo, le virtù cristiane, le otto nazionalità di provenienza dei Cavalieri di San Giovanni oppure gli otto princìpi che dovevano rispettare gli antichi cavalieri. Tale croce divenne in seguito il simbolo del Sovrano Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, conosciuti come Cavalieri di Rodi e in seguito come Cavalieri di Malta.

Il corteo storico, secondo l’attenta lettura dell’artista campano Scielzo, può essere distinto in cinque gruppi fondamentali. Il primo è composto dal vessillifero, dai valletti, dagli alfieri e dai paggi delle magistrature. Il vessillifero, che indossa una camicia grigia, una clamide di raso damascato beige, un berretto d’oro con fascia d’oro e guanti bianchi con croce dorata, sostiene il gonfalone della Repubblica, formato da una tela dorata con motivi a stella, sulla quale è raffigurata una splendida e prosperosa donna, che potrebbe rappresentare a mio avviso la floridezza della Repubblica di Amalfi. Ai lati del gonfalone sfilano dieci valletti, figli di nobili amalfitani destinati a diventare cavalieri della corte ducale una volta raggiunta la maggiore età. Il loro costume è costituito da una clamide damascata porpora con croce bianca, da una camicia grigia, dal berretto di velluto rosso, da brache e guanti neri.

CORTEO STORICO Gli alfieri, portanti bandiere di raso bianco con bande rosse, in numero di sei, sfilano con mantello nero con croce bianca, omerale bianco, tunica nera caricata di croci bianche, berretto rosso e guanti bianchi con croce rossa. I paggi delle magistrature indossano tunica beige damascata, stolone rosso, berretto di velluto rosso, calzini e guanti rossi. I paggi che accompagnano il conte di palazzo recano su cuscini rossi tre chiavi della città in stile arabo, mentre i paggi che seguono il duca reggono su cuscini dello stesso colore lo scettro e la corona d’argento, decorati con madreperla e corallo, pescato nel mare di Positano e lavorato nelle botteghe di Scala.

La massima magistratura della Repubblica è quella del duca, che indossa, secondo la minuziosa ricostruzione di Roberto Scielzo, un mantello militare, un omerale, uno stolone rosso con croce ottagona bianca in campo nero, una veste clamidale di raso rosa, calze rosse, berretto dorato a pendagli e guanti dorati con croce bianca. Vi è poi il comes palatii, definito impropriamente dallo Scielzo con l’appellativo di console della Repubblica, il cui costume consta di un paludamento di broccato rosso, di una tunica di seta beige, di un omerale rosso e di uno stolone rosso con croce bianca. Il comes palatii, che sfila con berretto rosso e guanti bianchi, ricopriva la carica di amministratore e curatore del palazzo ducale. Collaboratore del duca nell’amministrazione della giustizia è il giudice, magistratura di primo piano nella Repubblica amalfitana del IX e X secolo. I due giudici, recanti in mano le Pandette del codice giustinianeo, che compaiono nel corteo, indossano un mantello di velluto nero, una tunica nera listata di rosso, un omerale nero, copricapo e guanti neri. Ambasciatori dello stato costiero e capi delle colonie virtuali fondate dagli amalfitani sono i consoli o vicari della Repubblica, che nel corteo di Scelzo vestono un mantello di velluto rosso con croce ottagona, tunica rossa, omerale e copricapo rossi, e guanti dello stesso colore con croce bianca.

Del corteo di Scielzo fanno parte 86 figuranti, tra i quali si identifica il gruppo degli armati: cavalieri con spadone ed arcieri, che richiamano i servientes custodi e difensori dei castelli amalfitani. Segue poi il gruppo degli esponenti della marineria, la cui figura di spicco è quella del CONSOLE DEL MARE, magistrato che regolava le attività marittime della Repubblica. Questi venne sostituito in età svevo-normanna dal protontino, viceammiraglio del Regno che comandava la flotta amalfitana.  Altro personaggio di spicco della marineria amalfitana era il Nauclerio, nocchiere delle navi militari e mercantili. Del gruppo marinaro fanno parte oltre ai trombettieri e i timpanisti, i rematori e i marinai.

Il nucleo centrale del corteo amalfitano è rappresentato dal corteo nuziale del Duca Giovanni I, figlio di Mansone I, principe longobardo al quale si attribuisce sia l’edificazione della Cattedrale di Amalfi che l’istituzione della sede episcopale della città.

La grande ed antica tradizione cantieristica amalfitana sopravvive grazie ai nostri eroi, che lottano con lealtà, cercando di far rispettare il patrimonio che hanno, anzi che tutti noi abbiamo ereditato dai nostri avi e che loro hanno saputo apprezzare e rivalutare con impegno, fatica e soprattutto amore infinito. Il modellismo navale ad Amalfi sta diventando di attualità tra noi giovani, non come una semplice occupazione per il tempo libero, ma come un momento che grazie alla disponibilità dei maestri d’ascia, diventa magico e quasi incantato: è un  momento, sì, di lavoro ed impegno, ma soprattutto di gioia e felicità, in cui riviviamo a ritroso le esperienze dei marinai. Il modello (modellino) di una nave non è solo, infatti, la somma di lunghe ore di lavoro paziente e preciso, bensì l’espressione di una passione, un qualcosa di indescrivibile, che prende vita tra le mani affettuose dell’attento costruttore. L’ambizione del risultato finale, o meglio del prodotto, sovente trasforma ciò che è all’inizio per noi un gioco, in passione, che ci spinge a riflettere sulle difficoltà, alle quali si andava incontro, percorrendo quello che i Romani erano soliti chiamare mare nostrum.

Tra i comuni costieri, dove artigiani coraggiosi continuano la loro nobile impresa, ereditata dai padri, spiccano Amalfi e Maiori. Da evidenziare ed ammirare nel mio piccolo borgo amalfitano è il lavoro quotidiano di Giuseppe Camera, che rifiutando di arrendersi contro le difficoltà che gli si sono presentate, continua a costruire lanzini e gozzi, modelli di barche da diporto e da pesca, in cui è visibile “una parte di sé”, che egli è pronto a trasmettere agli altri. Grande è la storia del cantiere Camera, esistente sin dall’Ottocento, dapprima attivo nella Marina Grande, poi nella zona portuale di Amalfi ed infine in una zona antistante “lo stradone di Amalfi”, dove su delibera comunale, il professore Camera è riuscito ancora una volta a far rispettare la storia e l’amore che le sue imbarcazioni rappresentano.

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