Amalfi sotto la dominazione normanna (1073 – 1100)

di - del 12 Settembre 2014 © diritti riservati
Roberto il Guiscardo

Roberto il Guiscardo

Dopo la fuga di Giovanni III si decise ad Amalfi di mettere la città sotto la protezione di una potenza straniera per impedire l’incombente invasione di Gisulfo. Non c’era da contare sulla protezione di Bisanzio, dato che due anni prima era caduto con Bari, la capitale del catepanato, l’ultimo bastione dei Greci nell’Italia del sud.
Un’ambasceria amalfitana si mise all’opera per offrire a papa Gregorio VII la signoria della città.
Gregorio era papa da pochi mesi ed era già intervenuto nella situazione dell’Italia meridionale.
Nell’autunno del 1073 si trovava appunto a Capua, dove ricevette il giuramento di vassallaggio del normanno Riccardo.
Gregorio VII rifiutò però l’offerta di Amalfi: nella sua politica diretta contro Roberto il Guiscardo voleva conservarsi Gisulfo come alleato e raccomandò perciò gli Amalfitani di sottometterglisi.

Dopo la rinuncia del papa, gli Amalfitani si rivolsero al duca di Puglia, comune avversario di Gregorio e di Gisulfo, e lo invitarono, come segno del suo potere, a costruire ad Amalfi una fortezza. Roberto il Guiscardo era allora impegnato a domare una rivolta in Calabria e non era in grado perciò di venire di persona ad Amalfi; mandò comunque delle navi e delle truppe per proteggere la città dagli assalti di Gisulfo, chiedendo in cambio un tributo.

Non si potevano nutrire dubbi sul fatto che Roberto avrebbe accettato l’offerta degli Amalfitani: a prescindere dai vantaggi economici, egli ottenne nello stesso tempo una base navale per un’eventuale guerra contro Gisulfo. Nell’ottobre o a novembre si cominciò in Amalfi a datare i documenti secondo gli anni di governo di Roberto e di suo figlio Ruggero. I nuovi signori vengono definiti piissimi duces Italie, Calabrie, Apulie atque Sicilie oppure gloriosi duces Italie, Apulie, Calabrie, Sicilie.

L’aiuto militare ottenuto dal duca normanno non si rivelò molto efficace. Gisulfo intercettò una parte delle navi inviate da Roberto e riuscì, concentrando i suoi sforzi, a conquistare finalmente un punto d’appoggio fortificato nelle immediate vicinanze di Amalfi. La situazione si era fatta per la città così pericolosa che il Guiscardo, incontrando difficoltà anche nel domare la rivolta calabrese, chiese a Gisulfo la pace, promettendogli di ripristinare nella sua integrità l’antico principato di Salerno e persino di riconoscersi suo vassallo. Il principe però non accettò perché voleva impedire soprattutto che Roberto si impadronisse di Amalfi e respinse anche la proposta di sua sorella, che era sposata con Roberto, di affidare il ducato a suo figlio (nipote di Gisulfo).

Quando il Guiscardo ebbe sistemata la situazione in Calabria, si decise a mettere fine con la forza al conflitto con il cognato e si volse contro Salerno, che nel marzo del 1076 fu assediata da terra e dal mare. Di colpo gli Amalfitani si videro liberati dagli assalti di Gisulfo ma dovettero sottostare alla volontà del Guiscardo che richiese loro navi per l’assedio di Salerno e pretese il riconoscimento anche per il futuro della sovranità normanna sulla città; gli ambasciatori dovettero, volenti o nolenti, acconsentire. Con una parte dell’esercito Roberto entrò in Amalfi ed ordinò la costruzione di quattro fortezze (non si conosce il luogo in cui furono erette) in cui avrebbero dovuto acquartierarsi dei soldati.

Rafforzato il suo esercito con contigenti amalfitani, fece ritorno davanti alle mura di Salerno. Dopo la caduta della città nel dicembre del 1076 – Gisulfo riuscì a resistere sulla rocca ancora per alcuni mesi – il Guiscardo subito utilizzò altrove la flotta amalfitana: poiché Riccardo di Capua aveva chiesto il suo aiuto per l’assedio di Napoli, fece entrare nel golfo partenopeo la flotta amalfitana insieme a navi calabresi e la mise sotto gli ordini di Riccardo.
Roberto rimase fino alla sua morte incontrastato signore di Amalfi, per quanto il papa Gregorio VII considerasse illegittimo il suo dominio sulla città e gli rinfacciasse la violazione del giuramento prestato ai papi precedenti di non annettersi nuovi territori. Quando poi nel 1080 Roberto si riconobbe vassallo del papa, questi dovette nei fatti riconoscere anche questa annessione.

Se infatti dal giuramento di fedeltà vennero escluse Amalfi, Salerno e una parte della marca di Fermo, nei diplomi di quegli anni Roberto assunse il titolo di divina favente clementia Normannorum, Salernitanorum, Amalfitanorum, Surrentinorum, Apuliensium, Calabriensium atque Siculorum dux. Come in altri territori sottoposti al suo dominio, egli insediò ad Amalfi un vicecomes. Il primo di cui conosciamo il nome (è chiamato in un documento del 1080 Constantinus imperialis patricius) potrebbe essere amalfitano.

Dal titolo di patrizio – in questo periodo non più tanto prestigioso come nel passato – era probabilmente debitore al duca normanno, il quale nel 1074 aveva ricevuto dall’imperatore Michele VII Dukas un pacchetto di titoli da distribuire ai suoi fedeli.
Roberto donò a Montecassino la chiesa di S. Biagio ad Amalfi ed il terreno annesso che aveva acquistato dai discendenti di Mansone I.
La colonia cassinese ricevette inoltre in dono anche un fondaco al porto, dove si ritiene che vi fosse un ospizio o uno xenodochio.
Sichelgaita, la moglie di Roberto, a sua volta, pro redemptione anime nostre, donò al vescovo di Minori una proprietà terriera situata nella sua diocesi.

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