Apertura dei lavori della 66ma Assemblea Generale C.E.I.
19.05.2014 discorso di Papa Francesco
Proviamo, ancora, a domandarci: che immagine ho della Chiesa, della mia comunità ecclesiale? Me ne sento figlio, oltre che Pastore? So ringraziare Dio, o ne colgo soprattutto i ritardi, i difetti e le mancanze?
Quanto sono disposto a soffrire per essa? Fratelli, la Chiesa – nel tesoro della sua vivente Tradizione, che da ultimo riluce nella testimonianza santa di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II – è l’altra grazia di cui sentirci profondamente debitori. Del resto, se siamo entrati nel Mistero del Crocifisso, se abbiamo incontrato il Risorto, è in virtù del suo corpo, che in quanto tale non può che essere uno. È dono e responsabilità, l’unità: l’esserne sacramento configura la nostra missione.
Richiede un cuore spogliato di ogni interesse mondano, lontano dalla vanità e dalla discordia; un cuore accogliente, capace di sentire con gli altri e anche di considerarli più degni di se stessi. Così ci consiglia l’apostolo. . . . Ne siamo convinti: la mancanza o comunque la povertà di comunione costituisce lo scandalo più grande, l’eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa.
Nulla giustifica la divisione: meglio cedere, meglio rinunciare – disposti a volte anche a portare su di sé la prova di un ingiustizia – piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio. Per questo, come Pastori, dobbiamo rifuggire da tentazioni che diversamente ci sfigurano: la gestione personalistica del tempo, quasi potesse esserci un benessere a prescindere da quello delle nostre comunità; le chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele che tradisce intime delusioni; la durezza di chi giudica senza coinvolgersi e il lassismo di quanti accondiscendono senza farsi carico dell’altro.
Ancora: il rodersi della gelosia, l’accecamento indotto dall’invidia, l’ambizione che genera correnti, consorterie, settarismo: quant’è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso … E, poi, il ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quanti vorrebbero difendere l’unità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa… Rispetto a queste tentazioni, proprio l’esperienza ecclesiale costituisce l’antidoto più efficace.
Promana dall’unica Eucaristia, la cui forza di coesione genera fraternità, possibilità di accogliersi, perdonarsi e camminare insieme; Eucaristia, da cui nasce la capacità di far proprio un atteggiamento di sincera gratitudine e di conservare la pace anche nei momenti più difficili: quella pace che consente di non lasciarsi sopraffare dai conflitti – che poi, a volte, si rivelano crogiolo che purifica – come anche di non cullarsi nel sogno di ricominciare sempre altrove.
Una spiritualità eucaristica chiama a partecipazione e collegialità, per un discernimento pastorale che si alimenta nel dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme: non per nulla Paolo VI, nel discorso citato – dopo aver definito il Concilio “una grazia”, “un’occa¬sione unica e felice”, “un incomparabile momento”, “vertice di carità gerarchica e fraterna”, “voce di spiritualità, di bontà e di pace al mondo intero” – ne addita, quale “nota dominante”, la “libera e ampia possibilità d’indagine, di discussione e di espressione”.
E questo è importante, in un’assemblea. Ognuno dice quello che sente, in faccia, ai fratelli; e questo edifica la Chiesa, aiuta. Senza vergogna, dirlo, così…
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