“ ‘e cerase…toste comm’a faccia d’e femmene” ‘a pizza roce (la pizza dolce)
Molti a maggio pensano, una volta per necessità oggi per tradizione, a riempire la dispensa invernale dei prodotti dell’orto come fave, piselli, carciofi e di quelli del giardino che nella nostra regione si colora di rosse ciliege e visciole, frutti che hanno un vasto repertorio di ricette tradizionali, come lo sciroppo di visciole o sottospirito, ciliege sciroppate o in marmellate.
A queste ultime si ricorre per imbottire o guarnire torte per festeggiare la domenica, per fare doni, o per portare in tavola l’atmosfera incantata ed i profumi dei giardini assolati di maggio.
Di questi deliziosi frutti la medicina popolare ha sempre apprezzato le proprietà diuretiche, antigottose e lassative. Addirittura i frutti freschi funzionano da colluttorio poichè producono sostanze efficaci contro i batteri che nella bocca danno origine alla carie.
I Romani conobbero il ciliegio visciolo in epoca imperiale e più tardi il ciliegio dolce chiamato da essi sempre “cerasus ” che fu importato dall’Asia ad opera di Lucullo. In epoche più recenti erano tantissimi i contadini e le contadine che affluivano nei mercati ambulanti della vecchia Salerno dove offrivano i loro prodotti proponendoli ai passanti attraverso un simpatico motteggio popolare:” So’ majateche (sode) ‘e ccerase ! ” ed il venditore a sua volta rispondeva: ” So’ toste comm’a faccia d’e femmene….’e mmajateche ! “.
Per la conservazione i frutti vanno raccolti di buon mattino, quando i primi raggi del sole e la brezza hanno asciugato la rugiada della notte. Si dovrà effettuare una cernita tra i frutti migliori e che hanno raggiunto la perfetta maturazione, sani e non trattati con anticrittogamici,perciò è sconsigliabile conservare le primizie,soprattutto perché si tratta di frutti deperibili.
La preparazione delle marmellate e degli sciroppi era curata dalle nostre nonne che trascorrevano ore intere vicino ai fornelli ponendo una particolare attenzione alla cottura perché il composto non attaccasse al fondo del recipiente (che era quasi sempre in rame non stagnato) .
Un altro segreto per la riuscita della conserva erano le proporzioni fra polpa e zucchero, poiché se quest’ultimo non era giustamente concentrato in relazione alla polpa, la marmellata poteva ammuffire in superficie o conservarsi per un tempo breve.
I frutti della nostra terra, l’amore, l’estro, la fantasia e la pazienza dei nostri progenitori hanno contribuito a formare la tradizione gastronomica della nostra regione con specialità come “bocchinotti” e ” pizze ròce” che nei primi del novecento resero famoso don Alfonso Pantaleone, pasticcere della Vecchia Salerno.
‘ a Pizza Ròce
Ingredienti:
1) per la pasta frolla: farina gr. 500 , zucchero gr. 250, sugna o burro gr. 250, rossi d’uova n.5, una buccia di limone grattugiata, un pizzico di sale;
2) per il ripieno: marmellata di visciole gr. 500;
3) per la crema pasticcera : rossi d’uovo n. 6, latte l.1, farina gr. 120, zucchero gr.200, 3 bucce di limone (solo il giallo).
Procedimento:
Impastate la pasta e ponetela a riposare in luogo fresco. Preparate la crema con gli ingredienti indicati. Stendete i 2/3 della pasta col mattarello in forma rotonda su un foglio di stagnola spolverizzato con farina e capovolgetela su una teglia dal diametro di 25 cm foderandola.
Versate la crema per uno spessore di due cm. e su questa la marmellata per uno spessore di 1 cm. Stendete la pasta rimasta e coprite la pizza.
Ponete in forno caldo per 30 minuti 180° o finché la pasta sia dorata. Togliete dal forno e fate raffreddare. Cospargete di zucchero a velo.
Tratto da uno scritto di mio marito Ezio Falcone – tutti i diritti riservati –
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