Gli eventi che Papa Innocenzo non avrebbe mai voluto
dalla Voce del Pastore del dicembre 2007
Gli eventi che Papa Innocenzo non avrebbe mai voluto
di don Andrea Colavolpe
La conquista e il sacco di Costantinopoli (12 aprile 1204) Pietro Capuano lascia la Siria e raggiunge la Città sul Bosforo
Nel numero scorso lasciammo Pietro Capuano in Terra Santa, dove era approdato il 25 aprile 1203.
Il Papa gli aveva ordinato di attendervi la spedizione crociata, la quale, ormai, seguiva gli interessi e gli ordini della Repubblica veneta.
Era sfuggita di mano al Pontefice per forza di cose. Scrive il Maleczek che dall’inizio dell’estate di quell’anno fino ai primi mesi del 1205 cessò il pur difficile flusso delle informazioni dall’esercito alla Curia romana, da questa ai Legati Soffredo e Pietro, dai Legati all’esercito.
Innocenzo III faceva sentire la sua voce sempre ad eventi compiuti. E’ vero che egli fu impedito di governare da una grave malattia, che lo colpì nell’autunno del 1203, ma era il sistema stesso, scelto per le informazioni, alquanto complicato, per cui il più delle volte bisognava affidarsi al caso nel decidere cose indilazionabili. Dal 1203 al 1205 accaddero eventi che il Papa non avrebbe mai progettato e quindi voluto. Li abbiamo abbozzati nel numero scorso.
Il 24 maggio 1203 la flotta crociata partì dall’isola di Corfù per dirigersi verso il Bosforo, uno stretto tratto di mare sul quale si specchiava e si specchia Costantinopoli, oggi Istanbul. Il suo intento era quello di detronizzare Alessio III e restituire il trono ad Isacco II Angelo, in quel momento accecato ed in carcere, e al figliuolo Alessio. Gettò le ancore dinanzi alla città un mese dopo. Apparve subito che quest’ultimo, che i crociati avrebbero dovuto reintegrare nei suoi diritti, non era amato e desiderato. Non lo era neppure l’usurpatore Alessio III, ma i Greci, pur di non dare ai Latini la possibilità di intervenire, si schierarono dalla sua parte. Il problema dei crociati, sempre assillante, era il vettovagliamento. Non era loro consentito di stare, perciò, ancorati a lungo al largo. L’assalto alla città divenne presto questione di vita o di morte. Avvenne il 17 luglio 1203.
Alessio III fuggì in Tracia, Isacco II fu tratto fuori dalla prigione e rimesso sul trono, mentre, dopo che ebbe approvato i trattati stilati dal figliuolo a Zara e a Corfù, Alessio Angelo, il 1° agosto 1203, venne acclamato coimperatore col nome di Alessio IV.
Si cominciò a versare ai crociati l’enorme somma pattuita e si risolse il problema del vettovagliamento. La flotta poteva ora finalmente ripartire per la Terra Santa, come si era convenuto? Sembrava di sì. Invece no…
Alessio IV pregò il doge veneziano e i capi crociati – che a volte nei documenti sono chiamati “baroni” ed altre volte “franchi” – a rimanere a Costantinopoli fino al marzo dell’anno seguente. I motivi? Non era in grado di onorare gli impegni assunti entro il settembre del 1203 e il suo trono non era consolidato abbastanza, per poter sopportare una lunga assenza dell’esercito.
Vogliamo ricordare che egli si era impegnato, oltre all’unione della Chiesa d’Oriente con Roma, a versare duecentomila marchi d’argento, corrispondenti a 40 tonnellate di argento puro, un abbondante vettovagliamento per l’esercito, un’armata di diecimila uomini, che avrebbe partecipato sotto il suo comando alla spedizione in Terra Sànta e la presenza in essa, dopo aver strappato ai turchi Gerusalemme, per tutta la durata della sua vita, di un distaccamento di cinquecento cavalieri.
Voi capite che tra il dire e il fare … c’è il mare. Alessio IV era nell’impossibilità di stare ai patti e non godeva la simpatia degli abitanti della città sul Bosforo, soprattutto dinanzi alle sue continue richieste di argento, che doveva poi consegnare ai crociati, malvisti soprattutto dopo un rovinoso incendio, che venne loro attribuito.
Ai Greci, infine, non andava giù quella unione alla Chiesa di Roma della Chiesa Ortodossa, perché più che di “unione”, com’è oggi concepita nell’attuale movimento ecumenico, si trattava di vera e propria sottomissione al Papa.
Alessio IV, per tale dilazione, prometteva di vettovagliare l’esercito fino alla Pasqua del 1204 e di pagare ai veneziani il noleggio delle navi per quel periodo. I crociati non l’ accettarono a cuor leggero. Tra le loro file non mancarono quelli che stavano per la partenza per la Terra Santa nei limiti stabiliti, entro il settembre 1203. Prevalse, poi, l’opinione di quanti, pensando che comunque in Palestina in autunno e in inverno non potevano effettuarsi le operazioni belliche, queste avrebbero potuto aver successo in primavera, con un esercito ben vettovagliato e fornito di danaro.
Il Papa fu avvertito della dilazione sia da Alessio sia dai Crociati. Per lui la notizia della dilazione fu una “pillola amara”, naturalmente addolcita nel modo dovuto. Presto, però, a Costantinopoli, i rapporti tra la popolazione e i crociati cominciarono a deteriorarsi. Nell’assenza di Alessio IV, in seguito ad-uno scontro tra greci e soldati, scoppiò l’incendio di cui parlavamo, che lasciò dietro ceneri e morte. I Latini – anche quelli che erano nella città da lungo tempo, come i nostri antenati – dovettero rifugiarsi in località “Pera”, dov’era accampato l’esercito. Essi si comportavano come “padroni arroganti” ed offendevano i sentimenti religiosi dei Greci; questi a loro volta non erano disposti a subire e le risse erano all’ordine del giorno.
Quando, all’inizio del novembre 1203, Alessio IV ritornò in città, bloccò i pagamenti, cui si era impegnato, ed invitò i crociati a lasciare l’Impero. Nel frattempo maturò una nuova crisi istituzionale. Nei primi giorni del febbraio 1204 Isacco II ed Alessio IV furono “defenestrati” e salì sul trono un rappresentante dell’aristocrazia greca antilatina, Alessio V Marzuflo. Crollò ogni intesa ed costui ordinò l’immediata partenza dei crociati. Fu lotta aperta. L’ordine ebbe certamente il sapore di una provocazione per soldati, che erano tali solo per far guerra; essi non lo tollerarono. D’altra parte, il tradimento subito da parte dei Greci, che non erano stati ai patti, era per loro un’infamia, da lavare con le armi, secondo il codice cavalleresco vigente. Si tenne un conciliabolo, al quale parteciparono Doge, Capi crociati e clero, quello che era al seguito della spedizione, e tutti furono concordi che doveva essere guerra.
Ad assalto e sacco eseguiti, Baldovino di Fiandra, divenuto imperatore dell’Impero Latino d’Oriente col nome di Baldovino I, per giustificare il crimine, scriverà al Pontefice che “l’ingiustizia dei greci aveva riempito di disgusto lo stesso Dio, che aveva concesso la vittoria ai latini” (Maleczek).
C’erano però ben altri motivi per assalire la città. r; esercito veniva a trovarsi isolato in una terra ostile, bisognoso del sempre necessario vettovagliamento. Si pensi che i soldati avevano cominciato a macellare i cavalli per sfamarsi e a fare razzie nei territori circostanti, che si allargavano sempre più. Inoltre, i crociati avevano potuto ammirare da vicino le ricchezze che Costantinopoli conteneva, per cui al bisogno si unì la sete insaziabile di impossessarsene quale bottino di guerra. Scrive il Maleczek: “La massa dei semplici cavalieri crociati era convinta che il traditore Marzujlo non avesse alcun diritto a tutte quelle millenarie ricchezze e che quello bizantino fosse un Impero senza signore … “.
Il 9 aprile il primo assalto fallì ed alcuni tra i crociati cominciarono a dubitare della legittimità di quanto stavano facendo. Furono tranquillizzati dal clero al seguito, che ribadiva la giusta causa dell’impresa. Un secondo assalto avvenne il 12 aprile e questa volta le difese greche furono sopraffatte, Marzuflo fuggì e per tre giorni la città venne sottoposta a sacco. Innocenzo III era stato informato circa la prima occupazione della città, quella del 1203, da lettere sia dei Capi crociati sia di Alessio nel mese di agosto. Diede riscontro solo nel febbraio 1204 e non si sa se la risposta sia arrivata prima dell’aprile.
Il Pontefice si congratulava con Alessio con un certo distacco, intimando quasi la prospettata unione della Chiesa Orientale a quella di Roma. Ai crociati esprimeva il rammarico per quanto accaduto, mentre li esortava a riprendere subito il mare per la Terra Santa. Anche il card. Capuano aveva, da parte sua, informato il Papa circa la deviazione dell’esercito su Costantinopoli; egli chiedeva istruzioni se recarsi colà oppure restare in Terra Santa.
Il Papa comandò di restare ancora lì in attesa degli eventi. I quali, come sappiamo, precipitarono al punto che sorse un impero latino in Oriente. Tale notizia giunse a Roma con molto ritardo, perché i messaggeri, tra i quali i veneziani, erano stati intercettati e catturati dai genovesi, interessati ad ostacolare il predominio dei lagunari in quelle terre. Il Papa, nel febbraio del 1205, in una lettera, espresse, questa volta, il suo compiacimento, ma non era ancora informato degli eccessi compiuti dai crociati.
Quando venne a conoscerli, il suo entusiasmo naturalmente si raffreddò. Ormai la crociata, nelle attenzioni del Pontefice, non occupava più il primo posto. Gli premeva ora l’organizzazione dell’Impero Latino d’Oriente, la Romània, affidata alla guida di Baldovino di Fiandra, che prese il titolo di Baldovino I (16 maggio 1204).
L’impero non riuscì, però, ad allargarsi, a causa della resistenza dei Greci, che si erano stretti attorno a Teodoro Lascaris, in Asia Minore e alla pressione, alla frontiera, dei Bulgari. S’incrementò, invece, l’esodo verso Costantinopoli dei coloni latini, che erano in Terra Santa, fiutandovi dei buoni affari, un esodo già iniziato quando la città venne occupata la prima volta, ma esso indeboliva la presenza dei latini nella Palestina e ciò era anche dannoso.
Sembra che sia stato uno di questi coloni, partito dalla città nel settembre 1204 e giunto ad Acri un mese dopo, a riferire ai Legati papali Pietro Capuano e Soffredo di S. Prassede la nuova situazione, per cui anche loro decisero di raggiungere Costantinopoli. Ormai la speranza che la spedizione raggiungesse la Palestina era ridotta al lumicino. In una lettera al Papa i due diranno di aver preso questa decisione ”per consigliare e sostenere quanti erano al servizio della cristianità “. Era stato in realtà re Baldovino a richiedere la presenza di Pietro Capuano nella città, considerata essenziale per organizzarvi la Chiesa Latina.
Soffredo lo aveva seguito per non restare solo in Palestina, che era divenuta una terra meno sicura, nonostante l’esistenza di un trattato stipulato dai Latini con i nemici dell’Islam, essendo “più povera di gente pronta a combattere e soprattutto di popolazione latina” (Maleczek).
Il Capuano raggiunse Costantinopoli nel dicembre del 1204.
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