I primati di Amalfi: i Codici della convivenza
Durante il Medioevo gli Amalfitani, a causa del loro ristretto territorio e per spirito di intraprendenza, si avventurarono con le loro navi lungo il Tirreno, le coste dell’Africa e dell’Oriente per la vendita di legnami e di prodotti locali e l’acquisto di tessuti e materiali preziosi da rivendere in Occidente. Artefici, pertanto, dell’integrazione tra aree di diversa specializzazione produttiva e della creazione di un sistema economico unitario nel Mediterraneo, all’interno del quale, nonostante le divisioni politiche e religiose, si realizzò un’intensa circolazione di beni e di persone, furono specialmente i mercanti, che coinvolsero nelle loro operazioni altri mercanti o persone che disponevano di denaro contante.
Si realizzava così una vera e propria società, molto diffusa nelle città di mare, detta commenda, grazie alla quale il mercante in procinto di partire per un viaggio di affari raccoglieva somme da vari finanziatori, i quali avrebbero partecipato agli utili o alle perdite dell’operazione in rapporto alla quota versata.
Gli Amalfitani, al tempo della Repubblica (nei secoli XI-XII) praticarono il contratto di colonna, una forma particolare di società mercantile, basata non tra soci apportatori di capitali (come nella compagnia) o tra un mercante e dei capitalisti (come nella commenda), ma tra tutti coloro che partecipavano ad una determinata impresa marittimo-commerciale, limitata ad un unico viaggio.
Come si evince da una copia parziale della Tabula de Amalpha (l’attuale Codice Foscarini, che comprende 66 capitoli, alcuni in latino, altri in italiano ed attualmente esposta, insieme agli altri codici qui menzionati, nel Museo della Bussola e del Ducato Marinaro di Amalfi – Arsenale della Repubblica), i mercanti amalfitani fornivano i loro capitali in merci o in valuta, il padrone della nave l’uso di questa, i marinai la loro prestazione lavorativa ed il capitano la sua competenza professionale.
Ad ogni partecipante, al momento della partenza per un determinato viaggio, in base al valore del suo apporto venivano riconosciute delle quote, oggi diremmo delle azioni, in rapporto alle quali venivano liquidati i profitti ed eventualmente le perdite, una volta ritornati a casa. Le norme contenute nei capitoli offrono un quadro d’insieme della società marinara amalfitana: veniamo così a sapere, ad esempio, che erano previste forme di assistenza per quei marinai che, per cause indipendenti dalla loro volontà, non potevano partecipare al contratto di colonna; o ancora che, quando uno si ammalava, doveva essere curato ed avere egualmente la sua parte, così pure se veniva ferito nel corso di un assalto piratesco.
L’elemento caratteristico di questo tipo di societas maris era rappresentato dal fatto che il proprietario della nave, il suo comandante (se non era lo stesso proprietario) e i marinai erano equiparati ai mercanti, partecipando insieme a loro alla gestione dell’impresa commerciale. Inoltre dal punto di vista sociale il contratto di colonna era una forma associativa, che garantiva tutti i partecipanti all’impresa e stimolava il loro senso di responsabilità, tanto che qualche studioso l’ha definita impropriamente una forma di “capitalismo democratico”.
In effetti questa organizzazione commerciale fu favorita dalla presenza di un gran numero di piccoli operatori, che dovettero associarsi a padroni di barche e a marinai per la scarsa disponibilità di capitali. Non bisogna dimenticare che la fortuna e la prosperità di Amalfi nel Medioevo furono dovute anche all’ordinamento giuridico della Repubblica Amalfitana, che era regolata da un corpus legislativo di notevole importanza per la storia delle istituzioni medievali in Occidente, come le Pandette del Codice di Giustiniano, di cui Amalfi deteneva una copia originale, risalente al VI sec., scritta in caratteri semionciali africani.
Cadute in mano dei Pisani durante il saccheggio del 1135, sono ora conservate presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze. Va inoltre ricordato che la vita degli Amalfitani era regolata dalle Consuetudines Civitatis Amalphie, una raccolta di leggi, trascritte per la prima volta dal giudice Giovanni Augustariccio nel 1274. Esse contemplano norme relative a contratti di matrimonio, a questioni di cittadinanza e al diritto di proprietà, fornendo anche interessanti testimonianze circa la figura della donna amalfitana, che aveva un ruolo di primissimo piano nella vita sociale. Furono proprio queste istituzioni, sapientemente regolate dalle Pandette, dalle Consuetudines e dalla Tabula de Amalpha, che favorirono e promossero la fortuna e lo splendore di Amalfi nell’età medievale, come è documentato ancora oggi dalle numerose testimonianze storico-artistiche sparse nella città e nella divina costiera.
Nella foto: Il Codice Foscariniano, manoscritto del XVI secolo. E’ una raccolta di fonti amalfitane medievali composta dalla Tabula de Amalpha (il codice marittimo elaborato tra XII e XIV secolo), dalle Consuetudines Civitatis Amalphie (consuetudini altomedievali amalfitane scritte nel 1274), dal Chronicon omnium Episcoporum et Archiepiscoporum Amalphitanorum (la cronaca dei vescovi e degli arcivescovi della diocesi di Amalfi dalle origini al XVI secolo), dal Chronicon Amalfitanum (la cronaca di Amalfi dalle origini ai tempi di Roberto il Guiscardo). Appartenne al doge di Venezia Marco Foscarini, che fece aggiungere la disfida di Barletta e le relazioni seicentesche tra la repubblica marciana e l’Inghilterra. Fu ritrovato a Vienna ed acquistato dal governo italiano nel 1929, quindi donato alla città di Amalfi.
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