Il governo dei conti e dei prefetti (dall’839 all’898) – I parte
Nel Chronicon Salernitanum, scritto come è noto nel X secolo, è inserita una serie di magistrati amalfitani, alla quale dobbiamo le prime notizie sull’organizzazione politica della città.
Il 1° settembre dell’839 gli Amalfitani elessero a loro capo un certo Petrus, che risulta portare il titolo di comes, ma è da ritenere che i reggitori di Amalfi portassero da sempre questo titolo, analogamente a quanto facevano i comandanti degli altri castelli napoletani.
La durata in carica di Petrus e dei suoi immediati successori era sempre in un anno a partire dal 1° settembre, giorno in cui cominciava l’anno bizantino; dopo alcuni anni si passò però all’elezione di due comites, che ugualmente restavano in carica per un anno. Tuttavia un certo Marinus, denominato prefectus, governò per un anno senza colleghi, e suo figlio Sergio, dopo otto anni in cui i comites si alternarono regolarmente alla guida della città, riuscì a rimanere al potere per tre anni.
Non è chiaro se egli prese il posto dei comites, oppure se questi continuarono a governare; quello che è certo è che tenne il potere fino al tempo della guerra contro Cupa dell’858/59, in cui si erano venuti a trovare coinvolti anche gli Amalfitani. Il suo successore, Maurus, viene nominato in un documento dell’860 come Maurus gloriosus eximius prefecturius.
Durante il suo governo vediamo di nuovo i comites in carica per un anno, per lo più in numero di due, ma, a volte, anche di tre. Quando poi, nove anni dopo, nell’866 circa, Mauro venne assassinato, per alcuni mesi diversi comites assunsero la carica di prefetti, finchè si impose Marinus, padre del prefetto Sergio.
Marino aveva intenzione di rendere ereditaria la carica all’interno della sua famiglia ed a questo scopo si associò nel governo il figlio Pulchari, che effettivamente, dopo la morte del padre, riuscì a succedergli, facendosi chiamare nei documenti magnificus prefecturius.
Quando egli morì, è probabile che sia stato un suo parente (cognatus) di nome Stefanus ad assumere la prefettura per un anno. Con lui ebbe fine il dominio della famiglia di Marino.
In seguito diverse famiglie rivali lottarono per il potere.
In un documento dell’883 è attestato un iudex Sergius magnificus prefecturius. Secondo il Chronicon Amalfitanum egli divise il governo per un anno con il vescovo Petrus; tuttavia non si arrivò mai ad Amalfi ad una unione nella stessa persona delle cariche di vescovo e capo politico, come di tanto in tanto avveniva a Capua ed a Napoli.
E’ possibile che sotto Marino, Pulchari ed i loro successori i comites fossero ancora regolarmente in carica, ma ormai si era consolidata l’istituzione della prefettura, vale a dire un potere superiore a quello dei comites e concentrato, senza più limiti di tempo, nelle mani di una sola persona. Tuttavia i primi tentativi dei prefetti di esercitare il potere vita natural durante e di renderlo ereditario nelle loro famiglie trovarono forte resistenza, per cui soltanto nel X secolo potè formarsi una dinastia di prefetti.
Sotto il governo di comites e prefetti si può per la prima volta individuare una politica estera autonoma degli Amalfitani nei riguardi dei loro vicini. Nel conflitto, che esplose fra Salerno e Benevento dopo l’assassinio del principe longobardo Sicardo, gli Amalfitani si schierarono dalla parte dei Salernitani. Radelchi, che era stato thesaurarius sotto Sicardo, si impadronì del potere a Benevento, ma non fu riconosciuto a Salerno, dove nel dicembre dell’839 fu proclamato principe il fratello di Sicardo, Siconolfo. Ciò potè avvenire grazie all’intervento degli Amalfitani che avevano messo a disposizione una nave, con la quale Siconolfo, tenuto prigionieri a Taranto, fu portato a Salerno.
Nella prima battaglia, che si svolse tra i due pretendenti al trono non lontano da Salerno, gli Amalfitani combatterono dalla parte di Siconolfo, ma poco dopo sembra che si siano ritirati dal conflitto. Infatti una delegazione di Amalfi si recò a Benevento ed ottenne che le reliquie di S. Trofimena trafugate da Sicardo fossero almeno in parte restituite. Così l’11 luglio (probabilmente dell’840) navi amalfitane presero in consegna a Salerno i resti della protettrice di Amalfi e li portarono a Minori, dove essi, alla presenza del vescovo e del clero di Amalfi e di Napoli, furono risistemati nella sede originaria.
Anche Siconolfo, come già suo fratello, concesse terre agli Amalfi, ma gli Atranesi residenti a Salerno dovettero trasferirsi nella vicina Vietri. Soltanto al tempo del principe Guaiferio (861-880) poterono di nuovo tornare in città, perché i Saraceni compivano frequenti incursioni lungo la costa.
La guerra fra Siconolfo e Radelchi finì nell’848/49 con la divisione dell’antico ducato longobardo nei due principati di Benevento e di Salerno. Quando qui, a partire dall’855/56, pervenne al potere una nuova famiglia con il principe Ademario, i rapporti fra Amalfi ed i vicini Longobardi si deteriorarono. Contemporaneamente gli Amalfitani vennero in contrasto con Napoli. All’origine di tutto c’erano i legami di parentela che univano Marino e Sergio, i primi prefetti di Amalfi, alla stirpe dei conti di Capua, il cui territorio faceva parte del principato di Salerno. Per porre fine infatti alle aspirazioni autonomistiche dei conti capuani, Ademario di Salerno stipulò un’alleanza con il duca Sergio I di Napoli e, onde prevenire un possibile intervento degli Amalfitani a favore di Capua, prese prigioniero un figlio di Marino e lo consegnò a Sergio I: poco più tardi lo stesso Marino cadde nelle mani del duca di Napoli.
In seguito a questi eventi si ebbe ad Amalfi un rivolgimento, che portò al potere il prefetto Mauro, il quale parteggiava per Napoli, sicchè nella battaglia dell’8 maggio 859 davanti alle porte della nuova Capua (da poco costruita un po’ più lontano dalla Capua preromana) gli Amalfitani combatterono a fianco dei Napoletani. I Capuani riportarono una vittoria inaspettata ed ottennero mediante uno scambio la liberazione di Marino di Amalfi, prigioniero a Napoli. Questi rimase dieci anni in esilio, finchè il prefetto Mauro non cadde vittima di una rivolta. Il fatto che immediatamente dopo l’assassinio di Mauro un figlio del duca di Napoli esercitasse il potere per tredici giorni, sta a dimostrare che il rivolgimento era stato patrocinato da Napoli.
Dopo alcuni mesi, durante i quali diversi comites lottarono per il conseguimento della prefettura, Marino riuscì a riconquistare il potere. Sotto il suo dominio gli Amalfitani si intromisero a loro volta con una fulminea incursione negli affati interni di Napoli. Qui nel marzo dell’870 era divenuta duca, col nome di Sergio II, il figlio del duca napoletano che negli anni precedenti era riuscito per pochi giorni e mantenersi al potere di Amalfi.
Poiché aveva stretto un patto coi Saraceni, suo zio, il vescovo Atanasio, era diventato suo irriducibile avversario. Allorchè il vescovo fu assediato dal nipote in Castel dell’Ovo, dove egli si era ritirato dopo essere stato tenuto in carcere per sei mesi, Marino di Amalfi, pregato dall’imperatore franco Ludovico II, comparve con una flotta di 20 navi nel golfo di Napoli e liberò Atanasio. I Napoletani che si erano messi al loro inseguimento furono volti in fuga e i loro alleati saraceni uccisi in gran numero
(fine prima parte).
Letto 4446 volte
0 commenti