Il Mezzogiorno d’Italia: fucina di santi Pastori

di - del 1 Luglio 2015 © diritti riservati

di Gennaro Esposito

Mons. Giuseppe PalatucciIllustre presule figlio del Mezzogiorno d’Italia è Padre Giuseppe Palatucci, vescovo cattolico italiano appartenente alla famiglia dei frati minori conventuali. Giuseppe Maria Palatucci nacque a Montella il 25 aprile 1892 in una famiglia animata da una profonda fede cristiana, infatti molti furono le suore e i presbiteri  che diede questa famiglia alla Chiesa di Dio, o meglio alla Chiesa dell’uomo.
Tra questi ricordiamo Mons. Ferdinando Palatucci, che si distinse per la sua missione incentrata a sottrarre tante vite umane alla deportazione nazista. Nipote di P. Giuseppe Maria Palatucci, già superiore dei Frati Minori Conventuali di Ravello e dal 1937 Vescovo di Campagna, nel 1961 viene nominato, al tempo del Vescovo Guido Maria Casullo, Delegato Vescovile di Nusco, carica che manterrà anche con il suo successore Mojaski-Perelli, prestando nello stesso tempo servizio nella città, quale docente e vice rettore del Seminario.

Prelato domestico di S. Santità dal 27 aprile del 1968, venne consacrato Vescovo il 22 dicembre del 1968 nella collegiata di santa Maria del Piano di Montella da Mojaski-Perelli, Arcivescovo cattolico italiano appartenente alla nobile famiglia di un ambasciatore russo che fu al servizio dello zar. Gli fu affidata la Cattedra Vescovile di Nicastro, dove ebbe per Vicario Generale Don Mario Milano, un oriundo amalfitano, che nel 1989 sarà elevato alla dignità vescovile.
Tra i più illustri parenti di Mons. Giuseppe Palatucci, che venne avviato alla vita francescana nel giugno del 1906, ricordiamo Giovanni Palatucci del quale è in corso la causa di beatificazione. Nel 1953 la città di Ramat Gan, in Israele, gli dedica una strada e la correda di trentasei alberi: uno per ciascuno anno della sua vita. Due anni dopo, nel 1955, fu proclamato “Giusto fra le Nazioni” dallo Yad Vashem ed in suo onore fu piantata una foresta nei pressi di Gerusalemme dal “Kereh Kayemeth Leisrael” e nello stesso anno l’Unione delle Comunità Ebraiche in Italia assegnò una medaglia d’oro alla memoria dell’ultimo Questore di Fiume italiana. Mostra tutto il suo disappunto al momento della promulgazione delle leggi razziali nel 1938 con la nota affermazione vogliono farci credere che il cuore sia soltanto un muscolo.

A Fiume si impegna a fondo, in pieno accordo con lo zio Giuseppe, Vescovo di Campagna, per sottrarre gli ebrei al triste destino cui intuisce che li si sta inviando. Dal 1938 e sino all’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, si adopera a proteggerli e fornisce loro documenti utili all’espatrio. Dopo aver conseguito la Laurea in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana, Padre Giuseppe frequentò la Pontificia Facoltà di Lettere e di Studi Danteschi all’Appolinare, la Facoltà Teologica di S. Bonaventura e l’Accademia Liturgica Romana. Ordinato sacerdote il 22 maggio del 1915 e i 1 giugno dello stesso anno ricevette la chiamata alle armi, infatti prese parte alla Prima Guerra Mondiale come Cappellano Militare della Decima Compagnia di sanità di Napoli.
Congedato il 18 ottobre 1919 e conseguita la laurea in Sacra Teologia l’anno seguente, dal 1921 al 1923 si dedicò all’insegnamento di filosofia a Roma. Successivamente rientrò nel Convento di Ravello, dove riprendendo il suo impegno spirituale come rettore del Collegio Serafico, preparò molti giovani al sacerdozio. Con il presule irpino, che sarà insignito di medaglia d’oro al merito civile dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, come sottolineato da Padre Grieco, Ravello diventa la culla della rinascita dell’Ordine dei Francescani Conventuali nel Mezzogiorno d’Italia.

«Vescovo di elevate qualità umane e civili, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, si prodigava con eroico coraggio e preclara virtù civica nell’assistenza morale e materiale degli ebrei internati a Campagna, riuscendo a salvarne circa mille dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Fulgido esempio di coerenza, di solidarietà umana e di rigore morale fondato sui più alti valori cristiani e intensa condivisione delle altrui sofferenze.»

Designato nel 1937 Vescovo di Campagna da Pio X, elevato agli onori dell’altare nel 1954, venne consacrato il 28 novembre dello stesso anno da Alessio Ascalesi, innalzato alla porpora cardinalizia da Papa Benedetto XV, (“E voi, cari ragazzi, che avete la gioia di dedicarvi, sotto la guida del magistero della Chiesa, allo studio delle lettere e delle arti, continuate – come già state facendo – ad amare e ad interessarvi di questo nobile poeta, che Noi non esitiamo a chiamare il più eloquente panegirista e cantore dell’ideale cristiano.” ) fermo oppositore della Primo Conflitto Mondiale. Dopo aver ricoperto degnamente la carica di Alto Prelato presso Campagna, Don Giuseppe che, con una costante predicazione e scritti pastorali solidi e chiari cercava di rinvigorire la fede, i costumi ed il senso cristiano della vita in tutti i suoi diocesani, morì il 23 marzo 1961, al termine delle Funzioni del Venerdì Santo. Coma abbiamo poc’anzi accennato, la missione del Padre francescano fu parallela a quella del nipote Giovanni che, definito lo “Schindler Italiano”, fece ricorso all’autorità dello zio Vescovo per salvare dalla deportazione e dallo sterminio un gran numero di ebrei.

L’attività umanitaria del presule cattolico, che durante il suo apostolato a Campagna ridestò nel clero e nei fedeli la devozione ed il culto di S. Maria di Avigliano, era sostenuta dalla Santa Sede, come documentato da una lettera firmata il 29 novembre 1940 dal Sostituto alla Segreteria di Stato, Mons. Giovanni Battista Montini, con la quale veniva concessa la somma di diecimila lire da utilizzare per gli ebrei internati nella Diocesi del Mezzogiorno. Si tratta, dunque, di un Francescano, di un Vescovo Incomparabile, ma prima ancora di un uomo che debba fungere per noi da esempio degno di ammirazione ed imitazione. Fornito di eccellenti doti fisiche, intellettuali e morali, decoroso di persona, acuto di mente, energico di volontà, vivace di spirito, incline alla pietà ed alla preghiera, è una personalità che non deve e non può essere dimenticata, ma deve essere riproposta ai chierici e ai sacerdoti delle nostre parrocchie, che spesso dimenticano la loro VERA MISSIONE.

Altro frate minore conventuale, che lasciò la sua scia nella città di Amalfi, è fra’ Landolfo Caracciolo de’ Rossi, trasferito alla Cattedra Metropolita di Amalfi il 20 Settembre 1331 da Papa Giovanni XXII, che assegna contemporaneamente all’arcidiacono amalfitano Andrea d’Alagno29, jam consacratus apud sedem apostolicam, la Cattedra di Castellammare di Stabia.  Nato a Napoli, con ogni probabilità nell’ultimo quarto del XIII secolo, fra’ Landolfo apparteneva al ramo Rossi della famiglia Caracciolo. Suo padre Giovanni, creato cavaliere da Carlo I nel 1275, aveva fatto carriera nell’amministrazione angioina, ricoprendo tra l’altro le cariche di capitano di Amalfi (1300) e tesoriere regio (1303).

Mons. Caracciolo, sacre theologie doctor et regni Sicilie logotheta et protonotarius, reggerà la cattedra metropolita per venti anni, dal 1331, anno della suo insediamento, fino al 1351, quando sorella morte lo accolse tra le sue braccia per ricongiungerlo al Padre Nostro, che è nei Cieli. Ricevuta la vocazione spirituale, entrò nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali nel quale per il biennio 1324-1325 ricoprì la carica di Ministro Provinciale per la provinciale religiosa di Terra di Lavoro. Conseguito il titolo di Maestro di Teologia a Parigi nel 1305, nel 1314 fu Nunzio speciale e Protonotario Apostolico al matrimonio di Beatrice, figlia di Carlo II, detto lo Zoppo.

L’anno seguente istituì la prima cattedra scotista nel Mezzogiorno d’Italia per celebrare la dottrina del maestro Giovanni Duns Scoto. Rientrato a Parigi nel 1317, il francescano vi rimase fino al 1327 circa quando, più in virtù delle sue qualità personali, che per la sua appartenenza alla nobiltà a quel tempo vivaio, fucina di vescovi, venne elevato alla dignità Episcopale in Castellammare. Tenuto in grande considerazione da Papa Giovanni XXII, gli fu concesso il pallio attraverso l’autorità di Pietro Borbelli, minorita nonché Vescovo di Sulmona.

Il Pastore Amalfitano, che viveva in tutta umiltà nel Convento dei Frati Minori di S. Maria degli Angeli ( attuale Hotel Luna), fu apprezzato da papi e regnanti tanto da essere nominato dal re di Sicilia Ludovico d’Aragona protonotario e luogotenente del regno. Il dotto e umile francescano, generoso e zelante tanto da affermare maledictus homo qui opus suum facit negligenter, era un chierico che indirizzò la sua vita alla santità ed alla rettitudine di vita. Pastore buono che amò le anime e non lo scettro del potere, così come aveva sorbito dal Messaggio del Padre Serafico S. Francesco, fu tenuto in grande considerazione anche da Clemente VI, che gli indirizzò la bolla “In praecelso throno” del 22 maggio 1342, e da Giovanna I, che non solo lo inviò quale suo ambasciatore presso la Sede Pontificia Avignonese, ma lo nominò anche ambasciatore del Regno di Sicilia in occasione delle trattative per la pace con Luigi I, re d’Ungheria.
Mons. Caracciolo, che nel 1340 presenzia alla consacrazione della Chiesa di S. Chiara in Napoli fatta costruire dal re Roberto e dalla regina Sancia, fu anche un valente scrittore, che entrò in contatto anche con Francesco Petrarca, iniziatore della tradizione umanistica nonché prototipo dell’intellettuale cosmopolita.

Oltre al suo scritto più famoso, il COMMENTARIUS in IV libros sententiarum, gliene sono attribuiti molti altri tra i quali Sermones quadragesimales et festivi, di cui uno sull’uccisione di Andrea, marito di Giovanna I, sospettata come mandante. Tra le sue opere inedite ricordiamo anche Sermones super Santos, manoscritto conservato nella Biblioteca comunale di Assisi. Il presulato del Caracciolo fu funestato da una violenta epidemia di peste, che abbattutasi sulla diocesi, provocò numerose vittime. In questa occasione, è stata fondata a Maiori la chiesa di S. Sofia con annesso ospizio per accogliere gli appestati nonché i poveri e gli ammalati.

Durante il suo apostolato la Civitas fu anche colpita da una tremenda tempesta nel 1343, che, abbattutasi su Amalfi, arrecò danni irreparabili al porto che fece tramontare la possibilità ad Amalfi di far parte della cerchia delle grandi città marinare del tempo. Fra Landolfo, che nell’Ordine dei Frati Minori ha il titolo di beato, morì in Amalfi il 1 marzo 1351 e fu sepolto in Cattedrale in un sarcofago di marmo nella navata dei SS. Cosma e Damiano.

Molti sono i venerabili Padri che dimorarono nella Costiera Amalfitana, tra i quali spiccano anche il Beato Bonaventura da Potenza, Padre Domenico Girardelli e tanti altri. Bisogna fare ricordo di queste figure che tanto hanno portato beneficio alla nostra terra e le loro vite devono fungere da testimonianza per il mondo intero. Le loro gesta non devono essere dimenticate nel passato, ma emulate dai presenti ed è per questo  che ci sembra opportuno ricordare a sacerdoti, monaci, frati, vescovi e cardinali che il loro compito è quello di essere servi del prossimo ed esponenti di una politica non corrotta, ma di una politica onesta e sana che possa essere definita come disse Papa Paolo VI la forma più alta di carità, che potrebbe salvare il mondo dai suoi mali.

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