Il Venerdì Santo ad Amalfi – Note Storiche
Prima della riforma liturgica del 1955 le funzioni del venerdì santo iniziavano al mattino con la Messa dei Presantificati, così detta perché la comunione avveniva con le ostie consacrate il giorno precedente.
Verso l’una si svolgevano le tre ore di agonia, meditazioni sulle sette parole che Gesù pronunciò sulla croce, introdotte ad Amalfi da mons. Silvestro Miccù, arcivescovo dal 1804 al 1830. Il clero poi recitava l’ufficio delle tenebre nella cappella nelle reliquie. Circa alle sei di sera iniziava la processione che si concludeva con l’imbrunire, secondo quanto scrive don Gabriele Vissicchio nei suoi diari.
Le processioni nella settimana santa, in particolare nel venerdì santo, sono diffuse un po’ ovunque in Italia. Esse si sono sviluppate soprattutto dal XVI secolo con accenti di maggiore sfarzo nei territori dominati dagli spagnoli come nel Mezzogiorno. Un interessante studio sulla storia e la diffusione del fenomeno è in Claudio Bernardi, La drammaturgia della settimana santa in Italia.
Ad Amalfi ignoriamo quando abbia avuto inizio. Una statua dell’Addolorata con Gesù morto sono menzionati in un inventario del duomo redatto agli inizi dell’Ottocento al tempo di mons. Silvestro Miccù.
Il primo documento a parlarne è una lettera del 24 marzo 1852 indirizzata all’Intendente di Salerno, una figura del Regno delle Due Sicilie assimilabile all’attuale Prefetto. Il Sindaco chiedeva che venisse accolta la petizione presentata da Andrea Anastasio e Giovanni Fronda per lo svolgimento nelle ore vespertine del venerdì santo, dopo le funzioni sacre in Cattedrale, della processione del Corpo del Cristo morto onde destare e far meditare la tormentatissima passione di Gesù crocifisso in quella giornata tutta propria alla circostanza dalla popolazione Amalfitana. Essendo una funzione che è stata sempre solita nel Paese.
Ecco come è descritta nella visita pastorale del 1875: … nella sera del Venerdì Santo, dopo terminato l’uffizio delle tenebre, si esce dalla cattedrale colla sola Congrega dell’Addolorata, col clero e capitolo vestiti di lutto, cioè colla sottana e cappottino, senza abiti corali, portando quattro fratelli vestiti a lutto la magnifica bara con entro il Cristo morto, sostenuto (sic) i quattro fiocchi della coltre dalle ultime quattro dignità del Capitolo, immediatamente appresso siegue l’afflitta ed addolorata Vergine, portata da due fratelli, la cui vista intenerisce i cuori più duri, davanti e da dietro il Cristo e la Vergine sono situate le due Bande del paese, che a vicenda con suoni e canti lugubri di molti ragazzi maggiormente impietosiscono i cuori, e dopo aver girato le solite chiese, finalmente giunti al soppresso monistero della Ss.ma Annunciata si lascia il Cristo morto come se fosse rimasto nel sepolcro, si fa ritorno alla cattedrale colla sola Addolorata senza del figlio, la quale guardata coll’occhio della religione non si può trattenere dalle lagrime dal dolore, e così si dà termine alla funebre funzione di quella giornata memoranda.
Nel 1852 Andrea Anastasio e Giovanni Fronda probabilmente facevano parte del comitato organizzatore ma non erano confratelli dell’Addolorata la quale non gestiva direttamente la processione nonostante fosse l’unica a parteciparvi tra le confraternite cittadine. Nel libro di amministrazione dell’Addolorata dal 1811 non si rinviene alcuna spesa per il venerdì santo. La festa propria del sodalizio era quella della Madonna Addolorata che si svolgeva la terza domenica di settembre con la processione della statua. Ancora nel 1945 fu il parroco don Giacomo Covone a curare l’economia della processione di Gesù morto, annotando le offerte per la banda e destinando il residuo attivo alla San Vincenzo.
La visita del 1875 chiarisce che l’Arciconfraternita dell’Addolorata partecipava alle processioni con 40 persone vestite di camice, cappuccio e scapolare nero. Il numero è confermato dalla contabilità della congrega. Ad esempio nel 1883 si spesero lire 108.80 per vestire 40 persone per ogni processione, ed esequie, la regalia alla persona incaricata di far vestire detti 40, per lavatura di biancheria e dei camici di borgale, e di tela per processioni ed esequie….
Sicuramente anche il corteo di Gesù morto si apriva con uguale numero di “battenti”.
Seguivano vestiti a lutto sia il numeroso clero amalfitano senza abiti corali cioè senza cotta e mozzetta sia i confratelli dell’Addolorata portatori della bara e della statua della Vergine già allora non in camice ma in abiti borghesi.
La vecchia bara era più piccola dell’attuale poiché sono indicati solo quattro portatori. Prendiamo per buona questa indicazione mentre suscita perplessità che per l’Addolorata ne bastassero due. Salvo errori l’unica spiegazione può consistere nell’aver considerato solo due portatori che si collocavano al centro, uno avanti e l’altro dietro la statua prendendo le sbarre tra le mani, come è portato S. Antonio a Conca dei Marini. Ciò non esclude che anche altri si ponessero ai lati e presuppone che l’Addolorata fosse più alta dell’attuale, in modo che pur tenuta bassa non era coperta dai portatori. Forse era portata in processione proprio la Madonna visibile in cattedrale alle spalle di Gesù morto.
Sotto la bara vi era una coltre con fiocchi retti dalle ultime quattro dignità del Capitolo cioè cantore, decano, primicerio e tesoriere con esclusione dell’arcidiacono, prima dignità.
Come era la vecchia bara?
A Ravello e in qualche processione sorrentina Cristo è adagiato su lettighe che non presentano decorazioni particolari. Invece nel 1875 si parla esplicitamente di una magnifica bara con entro il Cristo morto. Probabilmente era simile alla connola mortoria per i confratelli defunti commissionata dall’Arciconfraternita dell’Addolorata allo scultore napoletano Biase Scarpellino nel 1824.
E’ possibile avere un’idea su com’era allestita e portata la bara amalfitana osservando le sontuose processioni pugliesi come Giovinazzo e Bitonto. Nella celebre manifestazione di Taranto i cordoni sono chiamati “lacci” e i portatori scelti tra personalità del posto.
La musica
Riguardo i brani eseguiti dalle due bande del paese che con suoni e canti lugubri di molti ragazzi impietosivano i cuori, è istintivo pensare ai celebri Sento l’amaro pianto e Veder l’orrenda morte, con testi tratti dalla IV e XII stazione di una popolare Via Crucis composta dall’abate Pietro Metastasio nella seconda metà del XVIII secolo.
Se già nel 1875 si eseguivano questi canti sarebbe confermata l’ipotesi del musicologo Antonio Porpora Anastasio secondo il quale è possibile che la musica sia stata composta non da Antonio Tirabassi, (1882 – 1947), allora neanche nato, ma dal padre di questi, Giacomo Tirabassi (1834 – 1895), già maestro di banda nell’esercito borbonico, compositore di una Messa per l’Assunzione della Vergine nel 1874 e dell’inno per l’inaugurazione della facciata del duomo nel 1891.
Le modalità della processione ci offrono altri spunti interessanti. Sostava nelle solite chiese cioè, come per S. Andrea, allo Spirito Santo oggi demolita, a S. Benedetto e infine a S. Nicola che fungeva da sepolcro poiché la statua di Gesù morto vi era deposta e il corteo continuava solo con l’Addolorata, un aspetto rimasto inalterato sino ad oggi.
Questo caratterizza la manifestazione amalfitana come solenne accompagnamento di Gesù morto alla sepoltura. E’ assai probabile che il rito iniziava in cattedrale con la deposizione dalla croce di un Cristo con gli arti snodabili che era posto sulla vecchia bara e portato solennemente alla sepoltura.
Su questo la visita pastorale tace perché si occupa solo della processione ma vi sono diversi indizi che suffragano tale ipotesi.
Sino a circa trent’anni fa nei depositi del duomo si conservava un Cristo in carta pesta a grandezza naturale con gli arti snodabili. Le tre ore di agonia prevedevano l’esposizione di un crocifisso e in alcune località si esponeva anche la Madonna Addolorata. Oggi la processione è preceduta dalla deposizione dalla croce nella vicina Minori e sino a qualche tempo fa a Positano, dove non si pratica la sepoltura in altra chiesa, che però è tipica di gran parte dei luoghi dove il rito si conclude con la riposizione nel sepolcro.
Ad Amalfi questo probabile momento iniziale si è perso dal 1883 con la nuova bara che presenta l’immagine di Gesù già deposta.
La nuova bara
Nel 1883 alcuni amalfitani acquistarono l’attuale cataletto in legno intagliato e dorato con Gesù morto in cartapesta, della ditta Luopolo. Fu collocato al posto della vecchia bara nella chiesa del Crocifisso e in seguito spostato in duomo.
I donatori furono Anastasio Felice fu Antonio, Camera Alfonso fu Cristoforo, Camera Francesco Paolo fu Andrea, Camera canonico Luigi di Antonio, Camera Andrea fu Santolo, Gambardella Andrea fu Francesco, Gambardella Girolamo fu Michele, Gambardella Camillo fu Zaccaria, Gambardella Andrea fu Luigi, Carrano Alfonso fu Andrea, Francese Giuseppe fu Gaetano, Milano fratelli fu Francesco, Scoppetta Michele fu Pasquale.
Secondo alcuni la bara sarebbe stata un voto legato agli interessi che avevano nel commercio del grano. Questa tesi è condivisibile. Da una ricerca sommaria risulta che molti erano commercianti, molitori e pastai. Erano negozianti di cereali Felice Anastasio, Andrea Camera e Andrea Gambardella fu Luigi; proprietari di mulini il canonico Luigi Camera e Francesco Paolo Camera; pastai i fratelli Antonio, Andrea e Luigi Milano, Alfonso Camera e Andrea Gambardella fu Francesco.
Altri invece ritengono che gli offerenti erano accomunati dalla partecipazione alla società appaltatrice del dazio amalfitano del tempo. Questa tesi non regge. Dagli archivi comunali risulta che negli anni a cavallo del 1883 il dazio non era appaltato ma gestito direttamente dal municipio. Inoltre tra gli appaltatori precedenti e successivi non si rinvengono i nomi citati ad eccezione di Camillo Gambardella. Ciò non toglie che anche questa spiegazione possa avere un fondo di verità. Giuseppe Francese e Camillo Gambardella erano titolari di depositi daziari, magazzini di stoccaggio in cui le merci non erano tassate sino all’uscita per il consumo o la trasformazione nel territorio comunale. Poiché i depositi venivano utilizzati soprattutto per i cereali potrebbe essere questo il nesso che lega i due alla donazione.
Il decreto della Sacra Congregazione dei Riti Maxima Redemptionis nostrae mysteria del 16 novembre 1955 cambiò radicalmente dal 1956 le liturgie della settimana santa.
Al venerdì santo fu eliminata la Messa dei Presantificati sostituita nel pomeriggio dall’Azione Liturgica che nei primi anni iniziava tra le tre e le quattro, come si desume dalle puntuali annotazioni di don Gabriele Vissicchio. La processione cominciò a svolgersi più tardi, quasi alle sette con l’ora solare e si concludeva di notte.
Si erano creati così i presupposti per l’odierna manifestazione notturna, ideata ed organizzata da un gruppo di giovani amalfitani nel corso degli anni Sessanta, di cui parleremo in un’altra occasione.
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