LA CANTATA DEI PASTORI AMALFITANA: UNA TRADIZIONE SI É RINNOVATA
di Giuseppina Severino
Il Gruppo Filodrammatico “Tommaso di Amalfi”, nel corso delle festività natalizie, ha presentato, presso il salone del Centro di Solidarietà “Mons. Ercolano Marini” di Amalfi, La Cantata dei Pastori, su riadattamento e regia di Riccardo Buonsostegni.
La Cantata dei Pastori amalfitana discende da un testo teatrale del Seicento Il Vero Lume tra l’Ombre, ovvero la Spelonca Arricchita per la Nascita del Verbo Umanato, a firma del dottor Casimiro Rugiero Ugoneo Enrico Preudarca, pseudonimo del drammaturgo e poeta palermitano Andrea Perrucci.
Articolata in tre atti, conobbe la sua prima edizione nel 1698 e da allora gode di una notevole fortuna, venendo regolarmente rappresentata, secondo la tradizione, nella Notte di Natale o nel giorno di Santo Stefano.
Il fulcro della composizione è il presepio napoletano. Il presepio è il punto d’arrivo dell’opera, perché ne rappresenta la morale ultima e necessaria, è l’approdo al quale giungono i personaggi della vicenda attraverso mirabolanti avventure, di cui sono partecipi Giuseppe e Maria, diretti a Betlemme, avversati da Belfagor e protetti dall’arcangelo Gabriello.
La Cantata è circoscritta interamente in questo viaggio tra selve e dirupi, stanze de ranavuottuole e lacierti, come dice Razzullo, nel corso del quale i personaggi sacri incontrano l’ispirato pastore Armenzio, il vivace figlioletto Benino, il pescator cortese Ruscellio, l’ardimentoso cacciatore Cidonio.
A ravvivare comicamente la scena provvede uno dei più celebri tipi della commedia popolare napoletana: Razzullo, il povero scrivano, agente delle tasse de Palepole che mo’ se chiamma Napule, inviato col compito de annomerà la gente che ‘nce songo sotto lo ‘mperatore Ottaviano. Nel dipanarsi delle scene è lui il cardine del movimento, il deus ex machina prototipo del piccolo napoletano che non ha mai diciannove soldi per completare una lira, sempre in angustie, sempre affamato, costretto a patire i guai peggiori.
Una volta i diavoli Uriel e Asmodeo lo legano ad un albero per ammazzarlo, un’altra volta lo fanno naufragare, un’altra volta è atterrito da un enorme drago che sputa fuoco e fiamme e da Satana in persona, terrificante finto oste, viene persino malmenato.Tuttavia Razzullo non si ribella mai e mastica pazienza più che pane, persino quando si sforza di farsi comprendere dagli stessi pastori, che si esprimono in aulico fiorentino di contro al suo strambo napoletano, considerando buffo e ridicolo il suo dire e il suo stesso nome. Ciascuno può fare di lui quello che vuole; Razzullo protesta appena, poi sempre accetta, come quando, trovandosi per la prima volta tra Cidonio e Ruscellio, non sapendo con chi dei due andar per primo è abbandonato da entrambi.
Nei primi anni del Settecento a Razzullo fu dato un compagno per riproporre il contrasto comico già presente nel teatro napoletano tra la maschera di Pulcinella e quella di Coviello. La spalla di Razzullo è Sarchiapone, il barbiere rachitico, cu ‘a valigia e cu ‘o bastone, tutto vozzole, scucciato (Raffaele Viviani), scampato ad un tentativo di omicidio per gelosia, anche lui un piccolo napoletano sempre affamato e in cerca di danaro, con i suoi giochi di prestigio e le sue goffe movenze da clown, che tuttavia, alla presenza del santo Bambino, diventa tenero e dolce.
Nell’opera il comico si dosa sapientemente con il tragico per dare giusta pausa alla mescolanza dei generi attraverso gli animati alterchi tra Belfagor e Gabriello, simboli della lotta perenne tra il Bene e il Male, al cui linguaggio ricco di pause e accenti sublimi è affidata la teatralità scoperta nella voce e nel gesto.
La Cantata, per lungo tempo radicata nella tradizione amalfitana, non veniva allestita ad Amalfi da ben ventiquattro anni. L’ultima rappresentazione amalfitana rimontava infatti al 1990, quando questo stesso Gruppo, costituitosi ufficialmente nel 1978, rappresentò il testo nell’ex cinema Iris, ora sala Ibsen, con la regia di Alfonso Mostacciuolo, già acclamato Razzullo nelle precedenti edizioni.
Ogni anno, puntualmente, sin dagli anni Quaranta del primo Novecento, bisognava rinnovare i fasti della sacra rappresentazione. Il Natale non si sarebbe presentato come comanda Iddio senza La Cantata dei Pastori amalfitana.
A memoria d’uomo si tramandano oralmente le battute goliardiche o i colpi di scena succedutisi sulle assi di un teatrino parrocchiale che ha fatto epoca – il teatrino del “Cinema S. Giuseppe” – dove numerose generazioni hanno recitato senza pretese da primedonne, col gusto del divertimento e del cameratismo.
Sull’intreccio tradizionale gli interpreti amalfitani hanno nel tempo ricamato loro personalissime “creazioni linguistiche” in un crescendo di comicità tale da creare un “copione nel copione”. Egualmente il ricordo dei vari recitanti che, nel tempo, ne hanno interpretato i personaggi si confonde a tal punto da rendere essi stessi personaggi di un “teatro nel teatro“.
Nelle tre serate del 26, del 28 dicembre 2014 e del 5 gennaio 2015, seguite, a richiesta del pubblico, da una replica il 10 gennaio 2015, si sono avvicendati sul palco del Centro di Solidarietà “Mons. Ercolano Marini” , in un bel clima di alacre affiatamento umano, interpreti più esperti insieme con interpreti più giovani, che della Cantata non avevano mai sentito parlare.
I giovani hanno raccolto la sfida della tradizione, desiderando perpetuarla in una sorta di staffetta ideale che nasce dalla volontà di non cancellare una bella memoria locale e di riproporre con leggerezza e sentimento il ricordo di tanti preziosi volti che di questo bel mosaico teatrale sono state tessere fondamentali.
Il Gruppo ha voluto ricordarli tutti, in particolar modo quelli che dal ben più vasto palcoscenico dei Cieli continuano a sostenere, con il loro entusiasmo solidale, l’attività teatrale amatoriale del Gruppo Filodrammatico “Tommaso di Amalfi”. A loro è andato il più commosso ringraziamento per aver testimoniato con semplicità che il teatro è scuola di vita e di cultura.
Ai posteri la sfida di non abbandonare la tradizione e di coltivarla con cura, sperando sempre di allietare, “perché so’ spettacule ‘e Natale, è ‘na vecchia tradizione, comme ‘a tombola, ’o bengale,’o presepio…”. (R. Viviani).
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